Economia e Finanza
Avvertimento della Commissione Europea: Italia e Germania ultime per crescita. I numeri diffusi ieri da Bruxelles gelano le ambizionidella manovra d’autunno. Che prima di occuparsi di flat tax, misure perla famiglia e degli altri interventi rilanciatidaquel che restadella campagna elettorale dovrà scalare una montagna che cresce nelle sue dimensioni: almeno 35-40 miliardi da trovare per recuperare le mancate correzioni del deficit degli ultimi due anni e gestire gli aumenti di Iva e accise già messi nei conti. Una cifra imponente, che da sola supera di slancio il valore dell’ultima manovra ancor prima di mettere mano a qualsiasi intervento aggiuntivo. I problemi segnalati dalle cifre della commissione sono due, intrecciati fra loro. Un debito che corre a ritmi da 1,5% del Pil all’anno, mentre nella maggior parte dei Paesi europei continua a scendere nonostante la congiuntura complicata per tutti, e un deficit strutturale che non accenna a ridursi secondo la commissione Ue. Ma Moscovici ha fissato una prima valutazione del rispetto dei vincoli Ue di bilancio «a giugno», dopo le elezioni europee, quando a Bruxelles terranno conto «anche dei risultati 2018» e dell’attesa «normalizzazione del settore manifatturiero nel corso dell’anno». Nel frattempo il commissario Ue ha «avviato colloqui con il governo, e in particolare con il ministro dell’Economia Giovanni Tria, perché è importante, prima di una valutazione, avere una visione comune» per negoziare il solito accordo di compromesso. «Mi sembra che, più che una previsione economica, sia politica – ha replicato Tria, aprendo al dialogo con Bruxelles -.In ogni caso non drammatizzerei, perché tra quattro mesi le previsioni politiche ed economiche si congiungeranno».
Crescita e occupazione. «Le previsioni di Bruxelles non sono complete. Non tengono conto dell’impatto che i Decreti crescita e Sblocca cantieri avranno sul Pil nei prossimi mesi. Sono dati incompleti». Non ha dubbi Laura Castelli, vice ministro dell’Economia dei 5Stelle, che non sembra affatto colpita dalle stime su debito e crescita. Il primo, secondo il rapporto messo a punto dalla Commissione europea, destinato a schizzare al 135,2% l’anno prossimo, mentre l’andamento dell’economia si fermerà ad un misero +0,1%. «Sono dati sicuramente incompleti. La Ue non tiene nel dovuto conto le misure varate dal governo e dell’andamento positivo del primo trimestre dell’anno. Non tiene conto del fatto che queste misure daranno spinta al Pil, mentre il decreto crescita prevede, tra l’altro, un forte impulso all’occupazione, con oltre 40 mila assunzioni negli enti locali, il sostegno alle imprese che chiedono prestiti, il taglio dellires e tanti altri provvedimenti che vanno nella direzione dello sviluppo». Se la Commissione Europea, nelle previsioni di primavera bacchetta l’Italia, puntando l’indice su deficit in crescita e aumento della disoccupazione, non c’è da meravigliarsi. Così commenta l’ennesima bocciatura dell’Italia da pane di Bruxelles il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. «Era prevededibile – dice – lo stesso Governo ha indicato una crescita dello 0,1% Senza crescita- precisa Boccia – crescono deficit e debito pubblico. Quindi oggi la priorità è che si ponga più attenzione su crescita, occupazione e lavoro». Il presidente di Confindustria è a Napoli dove partecipa alla presentazione del libro «Comunicare l’Istituzione. L’Università come narrazione», curato da Patrizia Ranzo, docente di Disegno Industriale della Università Vanvitelli. Il volume ricostruisce la storia del rebranding dell’ateneo, nato come “Seconda Università degli Studi di Napoli” e ribattezzato “Università della Campania Luigi Vanvitelli”. La presentazione del volume diventa anche occasione di riflessione sulla funzione pubblica di un ateneo, sul ruolo sociale chedeve ricoprire e sulla necessità, sempre più stringente, di farsi anello di congiunzione tra il mondo della formazione e quello del lavoro.
Politica Interna
Il caso Siri oggi in Consiglio dei Ministri. Prevede un confronto, una discussione, ma non un voto. Ha dalla sua parte la legge, che lo autorizza a scrivere da solo un atto giuridicamente completo, inoppugnabile, di natura amministrativa e non legislativa: nella sostanza e nel merito un atto di revoca della nomina del sottosegretario Siri come ha già anticipato qualche giorno fa in conferenza stampa. Quel documento, un decreto del capo del governo, a cui ha lavorato il Segretariato generale di Palazzo Chigi, è già pronto e stamattina Giuseppe Conte lo porterà sul tavolo del Consiglio dei ministri non per metterlo ai voti, ma per leggerlo e informare i ministri presenti. Del resto la legge che lo autorizza a nominare i sottosegretari, anche se rimanda a un decreto del presidente della Repubblica come chiusura di un procedimento amministrativo, dice che le proposte del capo del governo si fanno «sentito» il Consiglio dei ministri. E la stessa regola vale al contrario; anche per la revoca il governo può limitarsi ad ascoltare quello che eventualmente avranno da dire i colleghi di governo, soprattutto della Lega, ma senza che questo infici il procedimento che ha avviato. Per questo motivo la riunione di oggi probabilmente non vedrà un voto e per questo motivo in questi giorni Giuseppe Conte ha escluso una votazione. Le spontanee dichiarazioni del sottosegretario potrebbero arrivare oggi: i pm da giorni sono disponibili a sentirlo. Già due volte lo avevano convocato ma lui, in entrambi i casi, aveva fatto sapere di essere impegnato. Ieri invece è stato sentito per quasi tre ore l’ex deputato e imprenditore dell’eolico Paolo Franco Arata, il cui destino è legato a quello del leghista: sarebbe stato lui a consegnare o promettere a Siri 30mila euro in cambio del suo appoggio a una serie di provvedimenti per i finanziamenti alle energie alternative. Il verbale di Paolo Arata davanti al procuratore aggiunto Paolo Ielo e al sostituto Mario Palazzi è stato secretato, come sottolineato anche dall’avvocato dell’ex onorevole, Gaetano Scalise, che non ha voluto rendere dichiarazioni. Il clima in procura era di soddisfazione: probabile che i magistrati siano riusciti a mettere in difficoltà Arata se non a fargli fare parziali ammissioni. In questi giorni, peraltro, la Dia aveva consegnato a piazzale Clodio parecchio materiale.
Lombardia: esponenti di Forza Italia accusati di corruzione. Uno è nella lista di Forza Italia per le elezioni europee, ma adesso Pietro Tatarella (consigliere comunale milanese e vicecoordinatore regionale di Forza Italia) è in carcere con l’accusa di associazione a delinquere, condivisa con l’uomo forte varesino del partito Gioacchino Caianiello. Ai domiciliari per corruzione finisce il forzista Fabio Altitonante, consigliere regionale e sottosegretario della Regione Lombardia all’area Expo nella giunta del governatore leghista Attilio Fontana, a sua volta indagato per abuso d’ufficio. Alla Camera dei Deputati il gip chiede di autorizzare l’arresto per finanziamento illecito del parlamentare azzurro Diego Sozzani, ex presidente della Provincia di Novara e già consigliere regionale in Piemonte dove è vicecoordinatore del partito. E un nugolo di contestazioni raggiunge dirigenti di municipalizzate e Comuni lombardi, tra i quali per abuso d’ufficio l’attuale direttore (Franco Zinni) del settore Urbanistica nel Comune di Milano del sindaco Beppe Sala, e per turbativa d’asta il responsabile operativo (Mauro De Cillis) dell’Amsa che gestisce i rifiuti del capoluogo lombardo. Dice che andrà avanti, «corretto e trasparente come sono sempre stato». Che non ha «percepito alcun atteggiamento corruttivo nelle interlocuzioni avute». Attilio Fontana si dichiara vittima, parte lesa dall’ultima tempesta che spazza via il centrodestra lombardo. Ma l’ombra sul presidente della Regione si allunga fm dal mattino, da quando il procuratore capo Francesco Greco rileva che «è in corso di valutazione la sua posizione», e che «prossimamente sarà sentito, non sappiamo ancora in quale veste». Indagato o meno. Tutta colpa di un incarico. Un risarcimento per Luca Marsico, ex socio di Fontana nello studio d’avvocato, fondatore di Insieme e Futuro, movimento a sostegno dell’ex sindaco di Varese. Per Fontana, arrivano bastone e carota dal ministro Luigi Di Maio: «La Tangentopoli non è mai finita. Diamo occasione di redimersi anche ai partiti che non hanno votato la legge spazzacorrotti in Parlamento. Ma su Fontana è giusto aspettare la valutazione del magistrato che ha detto che sta valutando la sua posizione».
Politica estera
Il 23 maggio elezioni europee in GB. L’impensabile è diventato realtà, come spesso accade con Brexit.La Gran Bretagna parteciperà alle elezioni europee di fine maggio, ha confermato ieri David Lidlington, responsabile del Cabinet e vicepremier de facto. La premier Theresa May aveva definito «inaccettabile» la partecipazione del Regno Unito al voto europeo quasi tre anni dopo la decisione di lasciare l’Unione Europea nel referendum del giugno 2016. Ora ha dovuto accettare l’inevitabile e rispettare le regole Ue, dato che l’accordo di recesso è stato respinto tre volte dal Parlamento di Westminster e la data di Breadt è stata rinviata dal 29 marzo al 31 ottobre. La May sperava comunque di trovare un’intesa che potesse essere approvata dal Parlamento prima del 23 maggio per evitare la farsa della partecipazione alle elezioni europee e per questo ha sfidato l’ira di molti deputati conservatori aprendo le trattative con il partito laburista. Fa sorridere che tra negoziati inconcludenti con il Labour di Jeremy Corbyn alla ricerca di un compromesso e le crescenti pressioni sulla premier Theresa May affinché si dimetta, a tre anni dal referendum per uscire dall’Unione Europea ai cittadini del Regno Unito toccherà votare ancora per eleggere i suoi rappresentanti proprio in quella Ue da cui vuole uscire. Non basta: alle urne saranno chiamati anche quei circa tre milioni e mezzo di residenti degli altri Paesi europei, inclusi settecentomila italiani.
Liberi i reporter che denunciarono le stragi sui Rohingya. Li hanno liberati con altre 6.518 persone, nell’alveo di un’amnistia forse studiata per «diluire» l’importanza della loro storia e la marcia indietro delle autorità. Ma è bastato che apparissero in fondo alla strada del famigerato carcere di Inseln, con i volti sorridenti dopo 511 giorni di prigionia e le camicie linde sopra i tradizionali longyi colorati, per rendere «virale» il segno di una piccola grande vittoria. Sono tornati a casa (e al lavoro) Wa Lone e Kyaw Soe Oo, 33 e 29 anni, i giornalisti condannati a sette anni in Myanmar (l’ex Birmania) per aver fatto luce sulle stragi commesse dai militari ai danni della minoranza musulmana Rohingya. Nonostante le numerose conferme alla loro denuncia sul massacro di 10 musulmani sotterrati in una fossa comune in un villaggio chiamato Inn Dinn, per due volte i giudici avevano rifiutato il loro rilascio su cauzione e finora nemmeno la leader di fatto del governo Aung San Suu Kyi sembrava aver mosso un passo per liberarli. Finalmente ieri è arrivato un provvidenziale “perdono presidenziale” concesso anche ad altri 6.520 detenuti comuni e politici come avviene tradizionalmente in occasione delle festività del nuovo anno birmano che iniziano tra dieci giorni. Ma nel loro caso il gesto ha assunto precisi significati politici. A firmarlo è stato infatti il capo di Stato Win Myint, un uomo scelto personalmente da Suu Kyi in un governo formato anche da influenti militari.