Politica interna
Il governo vara i decreti attuativi. Unioni civili più facili. È valido il sì all’estero. Restano i capi di Esercito, Difesa e carabinieri. Cento ore appena e il premier Paolo Gentiloni, dopo l’intervento di angioplastica e la convalescenza lampo al policlinico Gemelli, è tornato al suo posto nella sala del Consiglio dei ministri. Martedì il malore, di rientro dalla prima missione a Parigi. E ieri mattina la ripresa a tutti gli effetti, per presiedere l’ottavo cdm del nuovo governo. Una riunione densa, che ha visto la conclusione dell’iter delle unioni civili con tre decreti legislativi, il via libera a otto deleghe della legge sulla «buona scuola» e la riconferma dei vertici militari. E al termine dei lavori ha espresso su Twitter la sua soddisfazione: «Approvati oggi i decreti attuativi sulla scuola. Un pacchetto importante, aperto al contributo del Parlamento. Le riforme non si fermano». Parole che sottolineano la ripresa in tempi record dell’attività di un esecutivo che va avanti «nel pieno delle sue funzioni». Oltre ad essere stati varati i decreti legislativi sulle unioni civili, completando così l’iter di attuazione della legge, si è discusso anche sul dossier scuola. Ed è stato prorogato l’incarico del comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette, finito sotto indagine a Napoli per rivelazioni di segreti d’ufficio nell’inchiesta sugli appalti Consip. Ma contro il governo, accusato di mancare agli impegni presi su pensioni e trasferimenti dei pm, si leva la protesta dell’Anm. L’Associazione nazionale magistrati, infatti, ha deciso di disertare per la prima volta nella sua storia la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario il 26 gennaio in Cassazione, momento solenne e fortemente simbolico per la giustizia italiana. Una scelta pesante, presa non a caso prima della conversione in legge del decreto Mille-proroghe, che non ha dato le risposte che i magistrati si aspettavano. Al sindacato delle toghe ha replicato il Guardasigilli Andrea Orlando, ribadendo di essere «disponibile a un confronto». Ma la tensione resta alta e toccherà al premier mediare per trovare un accordo. Gentiloni, dimesso dal Policlinico Gemelli di Roma poche ore prima dell’inizio del consiglio dei ministri, ha avuto appena il tempo di passare da casa prima di recarsi a Palazzo Chigi. In extremis il consiglio dei ministri ha dunque dato l’ok a otto delle nove deleghe della “Buona scuola”, la riforma dell’istruzione targata Renzi-Giannini. Quanto ai vertici dell’Arma, la riconferma di Del Sette ha ricevuto il plauso di Forza Italia e scatenato le critiche dei Cinque Stelle, che invece ne chiedono la revoca immediata.
Riforma della scuola: via libera ai nuovi asilo, regole chiare per le assunzioni dei professori.
Nuovi asili nido, una maturità senza il quizzone e l’esame di terza media senza prova Invalsi e senza seconda lingua straniera agli scritti, sono alcune delle novità degli otto decreti legislativi attuativi della riforma della legge 107 sulla scuola, approvati ieri dal Consiglio dei ministri. E’ una rivoluzione ancora non operativa. L’iter prevede che le commissioni parlamentari esprimano i loro pareri e che il governo esamini di nuovo il testo emerso. E’ una rivoluzione, che la ministra avrebbe preferito affidare al Parlamento tra due mesi, per studiare meglio la materia, ma le deleghe scadono oggi, aspettare era impossibile. «Oggi è un punto di partenza – promette la ministra -. Aver dato il primo via libera in consiglio dei ministri non significa pensare che i testi siano chiusi: lavoreremo nelle commissioni parlamentari, assicurando una forte partecipazione e presenza del ministero e del governo, per ascoltare in audizione tutti i soggetti coinvolti». Sarà ridisegnata la scuola dell’infanzia da zero a sei anni, ponendo fine alla divisione tra nidi e materne e creando per la prima volta un sistema unico come avviene nel resto dell’Ue. Finisce così l’era dei nidi che somigliavano spesso a parcheggi per bambini: si andrà a scuola iniziando fin da subito a imparare. E’ quello che viene definito un «sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni». L’obiettivo, insomma, è «garantire ai bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali», come è scritto nel testo della delega. Per la sua diffusione su tutto il territorio nazionale sarà creato un Fondo di 229 milioni all’anno per l’attribuzione di risorse agli enti locali. Le altre deleghe prevedono novità per i futuri prof. Dopo la laurea si parteciperà a un concorso: chi lo supererà si inserirà in un percorso di formazione di tre anni, che terminerà con l’assunzione a tempo indeterminato. L’alternanza scuola-lavoro diventa requisito di ammissione all’esame di Maturità, che subirà un nuovo “restyling”: dalle attuali tre prove scritte più colloquio, si passerà infatti a due scritti e orale (a saltare sarà la terza prova, il cosiddetto «quiz-zone»). L’Invalsi sbarca ufficialmente in quinta superiore e testerà le competenze degli studenti in italiano, matematica e la novità, inglese. «E stato approvato un pacchetto importante – ha commentato il premier, Paolo Gentiloni, che ha ripreso regolarmente ilsuo posto in Com, dopo i problemi di salute dei giorni scorsi -. Le riforme non si fermano».
Politica estera
Trump, mano tesa alla Russia: “Pronto a togliere le sanzioni”. Una sponda da Mosca, una stoccata a Pechino. Mentre a Washington prosegue il conto alla rovescia per l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, Vladimir Putin sgombra il campo da ogni equivoco tendendo la mano all’amministrazione entrante con un invito al tavolo delle trattative sulla Siria. E il tycoon ricambia annunciando la volontà di richiamo delle sanzioni nei confronti di Mosca. Mentre sul fronte cinese Trump si conferma inflessibile e rilancia la sua volontà a tenere aperto un canale di dialogo con Taiwan interrompendo la consuetudine politica della «sola Cina» che ha percorso indistintamente le passate amministrazioni democratiche e repubblicane. Ancor prima di vestire i panni del «commander in chief», il presidente eletto inaugura il nuovo corso della sua politica, e lo fa consumando uno strappo con il predecessore. Trump è pronto infatti a eliminare le sanzioni alla Russia, a partire dalle ultime varate dall’amministrazione Obama a dicembre, se Mosca si dimostrerà collaborativa. L’annuncio, per nulla inatteso, giunge dallo stesso presidente eletto in un’intervista al Wall Street Journal, durante la quale Trump si è detto pronto a incontrare Vladimir Putin dopo il giuramento del 20 gennaio. La notizia arriva in coincidenza dell’annuncio, questa volta giunto da Mosca, col quale la Russia avrebbe invitato l’amministrazione Trump a unirsi ai negoziati di pace sulla Siria che Mosca vuole avviare con Turchia e Iran. Trump, in una lunga intervista al Wall Street Journal, ha detto che manterrà «per il momento» le recenti sanzioni imposte da Barack Obama per gli assalti cibernetici alle elezioni americane. Ma che le toglierà se Mosca coopererà nella lotta all’Isis. Sulla Cina ha rilanciato la minaccia di rompere con la politica della “One China” seguita dalle amministrazioni americane: ha paventato il riconoscimento diplomatico di Taiwan qualora Pechino non compia progressi nelle politiche commerciali e sulla valuta accusate di danneggiare l’America. Il riallineamento – o piuttosto il potenziale terremoto, versione internazionale di una strategia del bastone e della carota usata anche con le aziende americane – è cominciato con la dichiarazione che «se andiamo d’accordo, se la Russia ci aiuta davvero, perché qualcuno dovrebbe volere sanzioni se qualcuno fa ottime cose?». Trump ha anche accettato un summit con Vladimir Putin: «Mi pare di capire che vogliano un incontro, va benissimo». La Russia serve a Trump per creare un fronte, ufficialmente anti-terrorista, ma con l’obiettivo di contenere la Cina. Il portavoce del Cremlino ha promesso che a Tillerson verrà spiegato il proprio punto di vista sulla crisi ucraina. Il portavoce del ministero degli Esteri ha risposto per le rime ai servizi segreti tedeschi che hanno denunciato il tentativo russo di rovinare i rapporti euro-americani. Con ogni probabilità le future relazioni con Washington saranno basate sul business nel rispetto degli interessi geopolitici. Lo sfruttamento energetico dell’Artico è dietro l’angolo.
Che cosa resta di Barack Obama. Il sogno incompiuto. Venerdì esce di scena il primo presidente nero. Ha risollevato l’economia ma lascia un’America più debole nel mondo. Il 20 gennaio 2009 Barack Obama giurava come 44 presidente degli Stati Uniti promettendo di unire l’America, battere la recessione, ridare speranza alla classe media, riconciliarsi con gli alleati e tendere la mano ai nemici. Ad otto anni di distanza l’America è più divisa di allora, la recessione è stata battuta, la classe media ha eletto Donald Trump, i rapporti con gli alleati sono tesi e i nemici sono aggressivi come mai avvenuto dal termine della Guerra Fredda. Il bilancio in chiaroscuro riassume successi e fallimenti di un presidente che sarà ricordato per l’impegno dedicato a risollevare la nazione così come per aver in gran parte abdicato alle sue responsabilità internazionali, contribuendo a innescare l’attuale domino di crisi e guerre in più regioni. Il maggior risultato del presidente che viene dalle Hawaii è aver risollevato l’economia dalla recessione in cui precipitò con la crisi finanziaria del settembre 2008. Alla sconfitta della recessione Obama ha accompagnato l’impegno per sanare le ferite sociali più profonde, che aveva conosciuto di persona da giovane a Chicago assistendo come «community organizer» le famiglie in difficoltà per conto di alcune chiese locali. Prima di fare il presidente, Obama ha voluto dire che crede nella diversità, nella inviolabilità dei diritti, nell’uguaglianza. Alla fine della sua presidenza,nel suo discorso di addio, Obama ha detto le stesse cose: crede nella diversità, nei diritti, nell’uguaglianza. Ha aggiunto due parole molto belle, “orizzonti” (“gli orizzonti americani sono molto grandi”) e speranza (“c’è sempre un dopo che non permette di lasciar perdere, c’è molto da fare, specialmente per i più giovani”). La rivelazione di Obama, che è stato del resto la natura e la materia della sua presidenza, è una terza parola, mai usata perché troppo dedicata agli altri e troppo poco a se stessi. Più che una parola è un impegno: “esserci”.
Economia e Finanza
Borsa, banche e bond al test del «downgrade». Gli investitori guardano con apprensione alla riapertura dei mercati, domani, dopo il declassamento del debito italiano da parte dell’agenzia di rating Dbrs. Il timore è per i piccoli istituti: BoTe BTp perdono valore come collaterali nelle operazioni con la Bce. Erano quattro anni che l’Italia non subiva un downgrade. A marzo 2013 fu Fitch a declassare il debito sovrano, subito dopo le elezioni parlamentari II cui risultato «inconclusivo» rendeva «improbabile la formazione di un governo stabile» in un clima «sfavorevole alle riforme strutturali». Copione molto simile («instabilità politica» e «riforme strutturali»), a quello usato venerdì dall’agenzia Dbrs per giustificare fl taglio di rating da “A low” a BBBhigh”. L’Italia ha perso così l’ultima “A”. Adesso, anche agli occhi della Dominion bond rating service, fondata nel 1976 a Toronto, la solvibilità del nostro debito sovrano non vale più della “tripla B”. La decisione di Dbrs è importante perché da domani BoT e BTp non potranno più essere considerati di livello 2″ quando vengono utilizzati come collaterale (garanzia) nelle operazioni di rifinanziamento per le banche. Un miliardo di euro. Al massimo un miliardo e mezzo. Ecco il prezzo che l’Italia potrebbe pagare, in termini di maggior esborso sulla spesa per interessi sui titoli di Stato, per effetto per il downgrade inflitto al debito sovrano italiano mutilato dell’ultima “A” rimastagli sul rating. Al ministero del Tesoro un po’ se lo aspettavano e adesso non fanno certo drammi. L’impatto, spiegano, sarà semmai solo sui titoli a breve termine venduti e riscattati già nel 2017. Per quelli ultradecennali nulla cambierà. Nella peggiore delle ipotesi la spesa per interessi, quantificata in 63,6 miliardi quest’anno, salirà a quota 65 miliardi. Comunque in discesa rispetto al biennio 2015-16. «Con il declassamento – spiega una fonte impegnata sul dossier debito – per convincere il mercato ad acquistare i titoli di Stato devi aumentarne il rendimento. I titoli di stato, se il rating peggiora, diventano meno buoni, più a rischio, per cui devono pagare interessi più elevati per controbilanciare questa perdita di qualità. In sostanza, devi convincere i mercati a prestarti soldi malgrado la tua qualità come debitore peggiori». Nessun timore sui titoli a lunga gittata. «Nel lungo periodo – prosegue la fonte – il profilo del Paese non è negativo e si basa su elementi diversi da quelli su cui si basano i rendimenti delle emissioni a breve, in quanto i rating nel corso di due o tre anni variano e i bond a 10 anni ne risentono meno». Un test arriverà già alla fine di gennaio con l’asta di alcuni Bot a breve termine. E probabile che i rendimenti saliranno. Ma occorre ricordare che quelli a breve termine rappresentano una minoranza rispetto alle emissioni a medio-lungo termine da 260 miliardi messe in cantiere per quest’anno. E questo elemento riduce il rischio di un salasso per le casse dello Stato.
Pa: nuove regole su permessi e congedi vertice con i sindacati. Cambiano le regole su malattie e permessi nella Pubblica amministrazione. E’uno degli effetti collaterali dell’accordo firmato lo scorso 30 novembre tra i sindacati e il governo per il rinnovo dei contratti. In quel documento è stato inserito un inciso che impegna le parti a riaprire il confronto, fermo ormai da tempo, sulla questione delle malattie, dei permessi e dei congedi. L’intenzione, a questo punto, sarebbe quella di risolvere anche questi aspetti direttamente nei contratti dei quattro comparti della Pubblica amministrazione che i sindacati dovranno discutere al tavolo con l’Aran, l’Agenzia pubblica che si occupa di contrattazione, e che sarà convocato non appena il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, avrà emanato il suo atto per dare un indirizzo alla nuova tornata contrattuale. Ma quali sono le novità attese? In realtà, l’Aran e i sindacati hanno avviato un confronto sul tema delle assenze per malattia, sui permessi e sui congedi, già dal 2014. Si è anche arrivati a mettere alcuni punti fermi che, a questo punto, dovrebbero essere posti alla base anche del nuovo contratto. Il primo aspetto riguarda le assenze per malattia, nel caso specifico in cui il dipendente pubblico abbia la necessità di dover effettuare una visita specialistica o delle analisi. Attualmente ci sono tre modi per potersi assentare per le visite mediche o per gli accertamenti. Il primo è prendere una giornata di malattia. Il secondo è utilizzare un giorno di ferie e il terzo è usare il permesso orario nel limite delle 18 ore annuali, che però non è specificamente destinato a queste esigenze ma copre anche tutte le altre necessità del lavoratore. La soluzione individuata e che potrebbe essere recepita nel contratto, prevede un’altra strada, ossia la possibilità di spacchettare in ore l’assenza per malattia. Si rilancia così finalmente la trattativa avviata tre anni fa, spiega Michele Gentile, coordinatore del dipartimento Settori Pubblici della Cgil: «Il negoziato era partito all’Aran nel 2014: in assenza di rinnovo contrattuale, il tentativo era quello di raggiungere almeno un accordo quadro su una sorta di “pacchetto sociale”: permessi per malattie, per visite mediche, permessi orari, dal momento che la legge Brunetta imponeva un permesso dell’intera giornata anche se serviva solo un’ora. In quel momento non si è arrivati a nulla, all’Aran sarebbe servito un mandato più chiaro. E quindi il problema è rimasto, anche perché negli ultimi anni diverse sentenze del Tar hanno annullato alcune circolari che disponevano che i dipendenti pubblici per fare esami radiologici o visite mediche dovessero mettersi in ferie». Il nuovo contratto è ora l’occasione per riprendere la questione e mettere a punto «misure eque, che cerchino di risolvere i guasti prodotti dalla legge Brunetta», ribadisce Gentile.