Politica interna
Governo congelato: L’incontro tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella si è concluso con la decisione del presidente della Repubblica di rimandare l’uscita del premier di tre o quattro giorni. L’obiettivo sarebbe quello di portare a termine in tempi brevissimi l’approvazione al Senato della manovra per il 2017. L’incontro ricostruito dal Corriere della Sera si sarebbe svolto con la iniziale richiesta di Mattarella a Renzi di prolungare maggiormente il suo governo così da condurre in porto il varo di una nuova legge elettorale. Il premier avrebbe però risposto di non voler procedere ulteriormente con questo governo ed è a quel punto che Mattarella avrebbe puntato i piedi per imporre la conclusione dell’iter della legge di bilancio. Anche nei precedenti casi di crisi di governo (nel 2011 Berlusconi e nel 2012 Monti) si verificarono dei casi analoghi, con la richiesta del presidente della Repubblica di concludere gli impegni più pressanti per poi sciogliere il governo.
Matteo Renzi e il Pd: Il futuro di Matteo Renzi appare ancora poco definito, tra tentazione di una pausa e voglia di tornare subito protagonista. Il primo passo in questo senso è stato quello di accettare la richiesta di Mattarella di finalizzare l’approvazione della Manovra, necessaria secondo Renzi perché “se me ne fossi andato via subito avrebbero detto che sono un irresponsabile”. In mattinata il premier aveva scherzato “me ne vado sei mesi in America” ma nel corso della giornata, dopo numerosi incontri con ministri e politici, avrebbe confermato l’intenzione di restare segretario del Pd. La lista di fedeli rimane infatti ancora lunga e il referendum ha comunque consegnato all’ex sindaco di Firenze un 40% di preferenze, bottino che Renzi non disperderà nell’aria. Sullo sfondo cominciano però le grandi manovre dentro il Pd. Al momento vi sarebbero due forti correnti opposte: c’è chi vorrebbe subito la resa dei conti, mentre Bersani preferirebbe evitare di affrettare i tempi e impedire l’anticipo di voto e congresso.
Centrodestra: A bocce ferme, nel centrodestra si sono confermate le linee emerse poche ore dopo il voto referendario: da una parte Berlusconi vorrebbe inaugurare un dialogo dalle larghe intese, così da poter tornare un interlocutore importante nella discussione sulle riforme. Matteo Salvini ha invece intenzione di correre e andare al voto immediatamente. Una coalizione a due velocità quindi, con Salvini pronto a “girare l’Italia in lungo e in largo” pur di affrettare i tempi, proponendo inoltre primarie già a gennaio. L’interlocutore di Forza Italia è al momento Brunetta con cui Salvini si trova d’accordo sull’opposizione a un governo tecnico, ma i cui punti d’incontro sembrerebbero essere limitati a questo aspetto. Berlusconi avrebbe però in mente già una strategia definita: lasciare passare i mesi in modo tale da lasciare che il Pd si consumi. Il Cavaliere avrebbe infatti fatto sapere ai suoi che “con Renzi disarcionato, la sinistra interna del Pd in guerra permanente e l’Europa con il fiato sul collo, chiunque di loro andrà al governo adesso può solo farsi male e indebolire ulteriormente il centrosinistra”. Salvini non vuole però smuoversi dalla sua posizione del voto subito, temendo un ”inciucio proporzionalista” tra destra e sinistra che escluderebbe le rispettive ali estreme (quindi anche la Lega) oltre al M5S.
M5S: La vittoria del No al referendum ha fatto cambiare repentinamente i piani del M5S. Si è passati infatti dalla possibilità di proporre il Mattarellum come legge elettorale al sostegno totale verso l’Italicum. Un appoggio talmente estremo da portare i grillini a proporla ora anche per il Senato, perché l’intenzione è di “andare al voto subito, massimo a marzo”, come ha fatto sapere il presidente dei Deputati Andrea Cecconi, per poi cambiare la legge elettorale una volta al governo. Per realizzare il progetto il M5S ha cominciato a fare pressioni a Mattarella per accelerare l’esame della Consulta sull’Italicum, così da poter avere il prima possibile un riscontro sulla legge e procedere al voto con quello che ne rimarrà.
Politica estera
Valls corre per l’Eliseo: Era atteso da giorni il passo ufficiale di Manuel Valls, primo ministro francese del governo Hollande descritto come probabile candidato forte della sinistra per le elezioni presidenziali del 2017. La decisione è arrivata ieri, con le dimissioni presentate da Valls e la conferma dell’interessato: “sì, sono candidato alla presidenza della Repubblica”. Il percorso del politico 54enne sarà però pieno di insidie, a partire dalla sfida interna. Valls dovrà infatti prima riconquistare la propria sinistra, divisa da lui stesso durante il deludente governo di Hollande con scelte estreme, come l’approvazione del contestato Jobs Act francese senza passare dal Parlamento. Non è un caso che lo slogan scelto da Valls fa appello all’unità: “fare vincere tutto ciò che ci unisce”. Il primo ministro si presenta così come il candidato duro e dovrà risalire la china per superare l’emergente Macron ma anche Arnaud Montebourg che alle primarie del 2011 riuscì a superare nettamente Valls, fermatosi con solo il 5,63% dei voti. Valls non si arrende e lo fa sapere senza problemi, perché nonostante Fillon sembri sempre più favorito “niente è già scritto!”.
Shinzo Abe a Pearl Harbour: Era il 7 dicembre 1941 quando Pearl Harbour fu attaccata a tradimento dall’aviazione giapponese, portando alla morte 2400 americani. La ferita provocata non si è ancora rimarginata completamente e lo dimostra il fatto che finora nessun premier giapponese ha visitato gli Stati Uniti dopo l’episodio. La situazione cambierà tra poco, dato che Barack Obama e Shinzo Abe, primo ministro del Giappone, hanno fissato un incontro proprio nel luogo dell’attacco che fece precipitare i rapporti tra i due Paesi. “Questa visita è per confortare le anime delle vittime” ha fatto sapere Abe, affermando che “non dobbiamo mai ripetere gli orrori della guerra”. Dopo la visita di Obama a Hiroshima, teatro dell’orrore della bomba nucleare, si concluderà così il percorso di riavvicinamento tra Usa e Giappone. La visita è fissata qualche giorno dopo Natale e si inserisce inevitabilmente nello scacchiere sempre più complesso dei rapporti tra Usa e Oriente, in fibrillazione dopo i contatti avuti tra Donald Trump e la premier taiwanese Tsai Ing-Wen e che hanno fatto infastidito la Cina.
Economia e Finanza
Italia-Ue: La riunione dell’Eurogruppo nel giorno successivo al referendum si è conclusa con la richiesta nei confronti dell’Italia di “fare i passi necessari per assicurare che il bilancio 2017 sia conforme alle regole”. L’analisi della legge di bilancio effettuata oggi ha infatti notificato un peggioramento dello 0,5% di Pil contro un miglioramento dello 0,6% previsto dalle regole e ha spinto il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ad affrettare l’Italia per compiere “i passi necessari nel vicino futuro”: ballano 5 miliardi a cui l’Italia dovrà far fronte. Nonostante questo la complicata situazione del governo italiano dovrebbe concedere al Paese tempo aggiuntivo, spostando i termini a marzo 2017. Alla riunione non era presente il ministro italiano Padoan a causa della crisi di governo. Nel frattempo sono arrivate altre notizie negative per l’Italia. E’ stata infatti bocciata dall’Eurogruppo la proposta della Commissione di “Fiscal stance positiva”, l’espansione dello 0,5% di Pil per i Paesi della zona euro. La modifica avrebbe potuto aiutare i conti italiani, pesantemente azzoppati da un debito pubblico ancora troppo alto, e si profila ora la possibilità di una infrazione per l’Italia se non verranno prese misure correttive: si parla di una stretta di bilancio di almeno lo 0,5% del Pil.
La risposta dei mercati: E’ stato per ora evitato lo shock finanziario in seguito alla netta vittoria del No al referendum. Lo spread Btp-Bund ha infatti chiuso la giornata a 166 punti, con una crescita di soli 4 punti rispetto a venerdì. La possibilità che i mercati si scatenino resta sempre viva, frenata per ora dalla incertezza su quale tipologia di governo seguirà quello di Renzi. Ma è anche grazie al contributo della Bce che finora è stato evitato il tracollo. L’istituto guidato da Mario Draghi ha infatti alzato la quantità di titoli di stato italiani acquistati. Anche Piazza Affari ha limitato le perdite, vivendo una giornata di forte volatilità ma chiudendo con una leggera perdita (-0,2%), mentre le altre piazze europee hanno tutte chiuso in positivo. Come previsto i titoli bancari si sono ritrovati sotto pressione, con tutti gli istituti in perdita. La situazione rimane incerta, con i mercati ancora in attesa di capire come si modellerà il futuro italiano.