Politica interna
Legge elettorale – La decisione della Consulta ha definitivamente cancellato l’Italicum e ha cristallizzato un nuovo status quo che sarà difficile modificare. Con l’abolizione del ballottaggio i sistemi elettorali delle due camere sono diventati abbastanza simili da rendere possibile il ricorso alle urne in tempi brevi. Restano – è vero- delle differenze importanti ma non sono tali da rappresentare un ostacolo insormontabile. Sono quattro. La prima è il premio di maggioranza che resta alla Camera, ma non c’è al Senato. la seconda sono le soglie. Per avere seggi alla Camera basta il 3% di voti a livello nazionale. Al Senato le liste singole devono prendere l’8%. Alle liste in coalizione basta il 3% a condizione però che la coalizione arrivi al 20%. Tutte soglie – si badi bene – a livello regionale. La terza è la possibilità che si formino coalizioni al Senato (per far scattare lo sconto sulla soglia), mentre alla Camera il premio può andare solo a una lista. La quarta sono i capilista bloccati alla Camera, mentre al Senato tutti i senatori saranno eletti con il voto di preferenza. Dal punto di vista della competizione elettorale e dei suoi possibili esiti contano le prime tre. La quarta incide sul processo di selezione dei parlamentari e sul potere dei segretari di partito. Perciò non passa neanche un’ora dalla sentenza che tutti o quasi hanno già messo in chiaro le proprie posizioni. Che sono le stesse che hanno preceduto la decisione, ma rafforzate da una legge di per sé applicabile immediatamente, ma nello stesso tempo non identica a quella del Senato. E così si ricreano i due partiti trasversali, quello di chi chiede il voto subito, con la legge che c’è o con minimi e rapidissimi aggiustamenti, e quello di chi pretende più tempo e modifiche. Con la presidente della Camera Laura Boldrini che spiega come «i gruppi parlamentari dovranno adesso confrontarsi su come procedere, verificare la volontà politica». Ai nastri di partenza di quella che sarà la battaglia dei prossimi giorni ci sono da una parte il Pd renziano, il M5S, la Lega, Fratelli d’Italia – con diverse sfumature ma con la comune intenzione di «non perdere tempo» -, dall’altra Forza Italia, centristi, Sinistra italiana e minoranza Pd. Informalmente, è lo stesso Renzi a dettare la linea ai suoi, ponendo al Parlamento un aut aut: «Basta melina, il Pd è per il Mattarellum, i partiti dicano subito se vogliono il confronto, altrimenti la strada è il voto». E i suoi fedelissimi – da Guerini a Rosato – spiegano che i due sistemi di Camera e Senato hanno proporzionali «omogenei», quindi nulla osta al voto.
Raggi rischia il processo subito – Interrogatorio e poi richiesta di giudizio immediato. Il giorno dopo la consegna dell’avviso a comparire a Virginia Raggi, i magistrati della Procura di Roma tracciano il percorso dell’inchiesta sulla nomina di Renato Marra costato alla sindaca la contestazione di abuso d’ufficio e falso. L’incrocio tra gli atti firmati dalla stessa Raggi e la conversazione via chat con Raffaele Marra – nel corso della quale lei si lamenta per non essere stata informata che il nuovo incarico avrebbe portato a un aumento di stipendio di 20 mila euro – convince l’accusa di aver ottenuto la prova evidente della sua responsabilità. E dunque di poter andare subito a processo. Anche perché nuovi elementi emergono dalle chat sequestrate dai carabinieri, dimostrando addirittura l’esistenza di un patto per spartirsi le nomine siglato prima delle elezioni al Campidoglio tra Raffaele Marra e Salvatore Romeo. Marra non ha parlato con i magistrati come minacciava, ma il suo telefonino ha parlato al posto suo. E anche lui ha chiacchierato parecchio senza sapere che i carabinieri lo stavano ascoltando. Sono una quindicina le intercettazioni, contenute nel fascicolo che vede Marra accusato per corruzione insieme al costruttore Sergio Scarpellini, che hanno messo nei guai anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi, indagata per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico nella vicenda della nomina del fratello di Marra, Renato, a capo della direzione Turismo. Conversazioni, messaggi, email che per l’accusa dimostrano come Marra si sia occupato in prima persona della promozione del fratello con un compenso di 20mila euro in più all’anno. Una nomina di cui la sindaca aveva, sin dai giorni dell’arresto del suo capo del personale (in carcere dal 16 dicembre), rivendicato la paternità, dichiarando anche all’anticorruzione capitolina che la scelta era stata solo sua e che il suo braccio destro si era astenuto dalla nomina del fratello. Falso. Le intercettazioni che la sbugiardano, raccolte dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma guidati dal generale Antonio De Vita, sono parecchie.
Politica estera
Le prime misure di Trump – Lo slogan bandiera della campagna elettorale diventa un ordine esecutivo del presidente. Gli Stati Uniti costruiranno «immediatamente» il muro al confine con il Messico. Donald Trump dà concretezza a quella che a molti osservatori era apparsa un’esagerazione per prendere voti, con queste parole: «Una Nazione senza confini non è una Nazione. Da oggi ci riprendiamo i nostri confini. Salveremo migliaia di vite, milioni di posti di lavoro e milioni di dollari. Lo faremo insieme al Messico e le relazioni tra noi e il Messico saranno ancora migliori». Sulla carta è un’impresa smisurata anche per gli Usa: la frontiera meridionale si estende per circa 3.200 chilometri. In realtà 1.070 chilometri sono già protetti da barriere di vario tipo: murature, palizzate, reticolati, recinzioni elettroniche, filo spinato. Tutto insufficiente, secondo il nuovo leader americano. I progetti tecnici si intrecciano con le variabili politiche. «Chi pagherà per il muro?» gridava Trump nel momento «clou» dei comizi. «Il Messico» ruggiva la folla. Ieri il neo presidente ha sostanzialmente confermato che «i contribuenti americani sosterranno i costi iniziali, ma verranno rimborsati». Perché il Muro «è assolutamente necessario» dice Trump illustrando i due “executive order” con cui ha dato il via alla campagna contro gli immigrati clandestini. Il primo oltre al Muro («lo pagheranno al 100 per 100 i messicani») prevede «nuovi agenti per pattugliare il confine» («ne assumeremo 5mila ), «più spazi per la detenzione di immigrati irregolari» («lavoreremo con i nostri amici in Messico, le relazioni miglioreranno») e l’eliminazione del cosiddetto catch-and-release (il rilascio subito dopo la cattura). Il secondo provvedimento ha un punto che farà molto discutere: prevede di «tagliare i fondi federali» alle sanctuary cities, ovvero le città che “proteggono” i clandestini. A iniziare da San Francisco, in una lista che comprende le maggiori metropoli degli Stati Uniti (New York, Los Angeles, Chicago, Miami). Gli agenti dell’immigrazione potranno «arrestare, detenere e allontanare gli immigrati irregolari», il Dipartimento di Stato avrà maggiori strumenti per rimpatriare «gli immigrati irregolari e i criminali con visti scaduti».
Corea – Il nuovo capo del Pentagono, James Mattis, farà il suo primo viaggio la settimana prossima in Giappone e Corea del Sud. Questo sembra confermare una voce che gira con insistenza negli ambienti degli analisti di politica estera, secondo cui la prima crisi che l’amministrazione Trump dovrà affrontare sarà con Pyongyang. Una provocazione, un test o uno scontro, che potrebbero avvenire già entro febbraio o marzo, quando Washington e Seul terranno le loro esercitazioni congiunte annuali nella penisola. Mattis va in Asia per discutere anche le tensioni con la Cina, e rassicurare gli alleati dopo la decisione della Casa Bianca di ritirarsi dall’accordo commerciale regionale Tpp. Vedrà il premier giapponese Shinzo Abe, che dopo il voto di novembre era corso alla Trump Tower per convincere il presidente eletto a non cancellare il trattato, e il 3 febbraio incontrerà il ministro della Difesa Tomomi Inada. Solleciterà gli alleati ad aumentare gli investimenti nel settore militare, dopo che il candidato repubblicano li aveva spaventati minacciando di togliere loro l’ombrello nucleare Usa, e discuterà il destino di basi come la U.S. Marine Corps Air Station Futenma. Ribadirà che le isole Senkaku controllate da Tokyo sono protette dall’accordo bilaterale per la difesa del Giappone, e scoraggerà Pechino dal fare nuove provocazioni nel Mar Cinese Meridionale. Quindi andrà a Seul, dove con il collega Han Min-koo rivedrà i dettagli del Terminal High Altitude Area Defense, il sistema di difesa missilistica contro la Corea del Nord promesso da Washington. Nel giro di pochi giorni, però, Trump potrebbe trovarsi a dover affrontare la prima provocazione di Kim. Secondo Thae Yong ho, l’ex numero due dell’ambasciata nordcoreana a Londra che lo scorso agosto ha «disertato» con tutta la famiglia trovando rifugio a Seul, le minacce di Kim Jong-un non vanno sottovalutate perché se si sentisse messo all’angolo non avrebbe problemi a lanciare un attacco nucleare contro gli Stati Uniti, riducendo in polvere una megalopoli come Los Angeles. Tuttavia, il regime di Pyongyang inizia a fare acqua perché tra le élite vicine al dittatore nordcoreano sta crescendo il malcontento e il fratello, Kim Jong-chul, sembra più interessato alla musica blues che alla politica.
Economia e finanza
Battaglia per il controllo di Generali – Intesa Sanpaolo al lavoro per lanciare l’Ops su Generali: insieme agli advisor la banca cerca lo schema per una operazione tanto ambiziosa quanto onerosa, per la quale arriva l’appoggio da parte del primo azionista, la Compagnia San Paolo: «Ribadiamo la piena fiducia al management» ha detto il presidente di Compagnia, Francesco Profumo. «Credo che le banche europee che operano su mercati europei debbano avere una dimensione che gli consenta di fare una crescita sia endogena che esogena» ha aggiunto. Dopo una seduta in altalena, il titolo Generali ha intanto chiuso le contrattazioni ancora una volta in rialzo dello 0,97% a 15,57 euro. Segno che il mercato continua a credere in un possibile riassetto azionario del Leone, che ieri ha annunciato di detenere il 3,376% di Intesa Sanpaolo. Nel consiglio di amministrazione delle Generali di ieri il ceo Philippe Donnet ha dato una prima informativa sullo stato di avanzamento del piano industriale. E proprio nelle pieghe del progetto potrebbe esserci lo spunto per alzare un’altra piccola barricata dopo la partecipazione opzionata in Intesa Sanpaolo. Le ambizioni di crescita ci sono e lo stesso Donnet in passato ha dichiarato che a certe condizioni la compagnia avrebbe valutato tutte le opportunità di sviluppo, soprattutto in paesi chiave come potrebbe essere la Germania. Perché il problema è legato anche al concetto di italianità, o interesse nazionale che dirsi voglia. E dopo 48 ore di riflessione, seppure con cautela, l’esecutivo inizia ad uscire allo scoperto. «Non c’è alcuna volontà di interferire in un’operazione di mercato – è la linea – ma è chiaro che c’è grande attenzione su come evolverà il destino di Generali». Non si interferisce direttamente ma, sottolineano fonti di governo, «si è ovviamente sensibili al tema dell’italianità». La linea fatta filtrare da Palazzo Chigi va ovviamente interpretata, decodificata per quanto possibile. Sarà fatto di tutto per mettere in sicurezza Generali, dice un ministro che preferisce non essere citato. Uno dei polmoni del risparmio italiano, detentore di oltre 60 miliardi di titoli di Stato, dopo aver perso posizioni nel ranking dei big di settore, può diventare un campione europeo della bancassurance. Soprattutto, intorno a un’operazione coordinata da Intesa Sanpaolo, si potrebbe concretizzare l’idea lanciata non più tardi di un mese fa dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda di tessere una rete di grandi aziende e di istituzioni finanziarie che, di fronte a minacce”esterne”, sappiano anche muoversi in modo coordinato.
Industria in ripresa – Un ottimo mese per la produzione, che si traduce in maggiori vendite per le imprese. Replicando la buona performance dell’output industriale, anche il fatturato manifatturiero cresce a novembre in modo convincente: un progresso su base mensile del 2,4% che in termini annui lievita a +3,9%, seconda miglior performance del 2016 che interrompe la serie negativa in atto da settembre. Una crescita tendenziale più robusta sul mercato interno (+4,8%) ma visibile anche in ambito internazionale, dove le vendite lievitano del 2,2%. Il progresso è comunque inferiore rispetto a quello realizzato dalla produzione industriale, il che è ragionevole in una fase sull’orlo della deflazione come quella attuale, con prezzi al consumo fermi e prezzi alla produzione da quattro anni in calo, con indici tornati ai livelli del 2010. I risultati negativi dei primi sette mesi dell’anno, ininterrottamente con il segno meno, lasciano però ancora il rosso nel bilancio tra gennaio e novembre, con vendite medie in calo dello 0,7%.