Politica interna

 

Referendum/Renzi: Nonostante i sondaggi continuino a confermare il vantaggio del No, Matteo Renzi non è preoccupato perché “non ne hanno azzeccata una nel 2016”. Nel millesimo giorno di governo, il segretario del Pd ha fissato a 60% l’obiettivo di affluenza e, commentando le dichiarazioni di Bankitalia sul rischio di elevata volatilità dei mercati nei giorni del referendum, conferma l’esistenza di “una connessione tra economia e riforme” ma nonostante questo avvisa che “non dobbiamo evocare le cavallette”. Nel suo discorso emerge nuovamente un attacco verso la minoranza Pd che voterà No, fatta di persone che “hanno cambiato idea durante il tragitto” e che lo spinge a rendersi conto di quanto sia “meraviglioso vedere tutti quelli che hanno votato Sì in Parlamento e ora dicono No”. Tra le consolazioni di Renzi rimane l’alta adesione degli iscritti del Pd a favore del referendum, un tasso di fedeltà che secondo le sue parole “è del 90%, una cifra pazzesca”.

 

Stefano Parisi: Dopo il richiamo di Silvio Berlusconi sulle uscite contro la Lega, Stefano Parisi sembrerebbe aver scelto di camminare per conto suo. Nome e simbolo del movimento sarebbero già pronti: Energie per l’Italia, con le tre lampadine e il tricolore italiano che hanno accompagnato Parisi durante il suo tour per l’Italia. Parisi vuole continuare sulla strada iniziata: “non so perché Berlusconi abbia cambiato idea ma penso che il centrodestra a guida Salvini ci porterebbe a perdere”. La partenza potrebbe essere però già in salita, nell’universo ancora molto instabile della destra italiana. Parisi comunque non si spaventa, consapevole che “c’è tanto da lavorare”. L’ex direttore di Confindustria non si sente “tradito da Berlusconi” e punta a proseguire il suo progetto che porterà a un movimento radicale “perché c’è tanto da cambiare” e dove l’Europa sarà centrale “perché il problema degli immigranti non possiamo gestirlo da solo”. Le divergenze rispetto a Berlusconi non si manifestano invece sul voto al referendum: il voto di Parisi sarà contro la riforma perché “se vince il Sì ci sarà una forte instabilità col rischio di avere Beppe Grillo a Palazzo Chigi tra 8 mesi”.            

 

Politica estera

 

Governo Usa: Con tre nomine del futuro governo, Donald Trump ha messo in atto quello che è stato definito uno spostamento a destra. I nominati riguardano ruoli importanti per la sicurezza e sembrano portare avanti una politica dura e rigorosa. Come ministro della Giustizia è stato scelto Jeff Sessions, 69enne senatore dell’Alabama famoso per le sue posizioni fortemente razziste. Il consigliere per la sicurezza nazionale sarà il generale in pensione Michael Flynn, 57 anni e un passato importante nella lotta al terrorismo contro le reti di ribelli in Iraq e Afghanistan. A capo della Cia arriverà Mike Pompeo, 52 anni, simpatizzante del Tea Party (l’ala estrema della destra americana) e assolutamente contrario al nucleare per l’Iran. L’ultimo tassello consisterà nella nomina del capo del Dipartimento di Stato, per cui recentemente si era pubblicamente candidato “il mastino” Rudolph Giuliani. L’ex sindaco di New York si dovrà però probabilmente accontentare del ruolo di ministro della Sicurezza, mentre per il candidato effettivo potrebbe arrivare una sorpresa da Trump, con una scelta giovane ed energica per trattare i rapporti diplomatici con gli altri Stati. Donald Trump persiste nel frattempo con un approccio pragmatico in politica estera. Nel recente incontro avuto con il premier giapponese Shinzo Abe il presidente repubblicano ha tranquillizzato tutti sulla stabilità dell’alleanza, mentre in un colloquio telefonico con il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk sarebbe stata discussa la possibilità di un incontro tra i vertici europei e statunitensi.            

 

Vertice Ue-Obama: Durante l’ultima visita da presidente di Barack Obama in Europa, Angela Merkel ha ribadito la necessità dell’unità tra gli Stati membri dell’Ue e si è detta d’accordo nel continuare la politica delle sanzioni verso la Russia inaugurata da Obama, con lo scopo di portarla a compimento “fino all’implementazione degli accordi di Minsk”. L’argomento è stato discusso durante il vertice tra i cinque maggiori rappresentanti degli Stati Europei e Barack Obama. I sei leader hanno inoltre nuovamente fatto appello ad Assad e ai suoi alleati (Russia e Iran) per interrompere i bombardamenti su Aleppo. Ma su questo fronte si sono registrate ultimamente frizioni tra Renzi e Merkel, con la cancelliera delusa per l’atteggiamento tenuto nell’ultimo Consiglio europeo dal premier italiano, durante il quale su sua richiesta sono state cancellate dal comunicato finale le menzioni su sanzioni alla Russia per i bombardamenti ad Aleppo.   

 

Economia e Finanza

 

Bankitalia: La Banca centrale italiana ha sottolineato nel Rapporto sulla stabilità finanziaria del Paese il rischio di “forte volatilità” in vista del referendum. L’indice di volatilità potrebbe infatti balzare oltre il 4% a dicembre. Nonostante questo lo stato generale dell’Italia sembra essere in ripresa. I crediti a rischio sono infatti in diminuzione: nel terzo trimestre 2016 i nuovi prestiti deteriorati si sono fermati al 2,6% del totale rispetto al 3,3 di fine 2015. La tendenza dovrebbe consolidarsi nel 2017 secondo le proiezioni di Bankitalia, con una previsione dell’1,7% di crediti deteriorati su tutti i prestiti alla fine del prossimo anno. Un’altra buona notizia arriva dal rapporto prudenziale di leva finanziaria, valore che indica l’adeguatezza del capitale rispetto alle attività non ponderate per il rischio. Il valore medio dei primi cinque istituti italiani si attesta infatti al 5,1% contro il 4,7% registrato su 39 grandi banche europee. Rimangono i problemi delle banche italiane legati alla redditività, dovuti a tassi bassi e deflazione. L’indice Roe a metà anno si è infatti dimezzato rispetto a giugno 2015, attestandosi a 2,5%. Gli istituti di credito italiani si espongono quindi a shock dovuti non solo ai mercati ma anche a introduzioni di nuovi protocolli, come ad esempio Basilea 3.

 

Mario Draghi: La ricetta trumpiana a base di deregulation finanziaria, nuova spesa pubblica e inflazione sembra essere indigesta al presidente Bce Mario Draghi. Mentre il dollaro continua a vivere giornate di entusiasmo, con i massimi raggiunti da 13 anni e il pareggio imminente con l’euro, Draghi ha ricordato che “è opinione unanime che una delle cause principali della crisi globale è stata la deregulation degli ultimi vent’anni”. Il presidente Bce ha continuato con una difesa di un sistema “genuinamente robusto” e che ha raddoppiato il Cet1 medio dal 7% al 14% negli ultimi otto anni. Le parole spese a favore delle misure di solidità per le banche sembrano prevedere il già annunciato prolungamento a marzo 2017 del Quantitative Easing, intenzione rinforzata dalla certezza di Draghi che “non possiamo abbassare la guardia”. Restano comunque dubbi sui dettagli con cui verrà applicata la politica monetaria finora portata avanti dalla Bce. Non ci sono però incertezze sulla convinzione di Draghi che l’uscita dal piano di Quantitative Easing sia ancora prematura, nonostante la Fed sia pronta, forse già a dicembre, a innescare il processo di tapering e di rialzo dei tassi.