Politica interna
Chiusura della Camere e Ius Soli. L’ultimo appello arriva in zona Cesarini, a tempo quasi scaduto. La sinistra del Pd chiede di aspettare gennaio per sciogliere le Camere in modo da provare a portare a termine quel che non è riuscito la settimana scorsa al Senato, causa mancanza del numero legale, ovvero il varo della legge sullo ius soli. Appelli che arrivano proprio mentre il presidente del Consiglio si appresta a tenere la conferenza stampa di fine anno, nella quale forse si capirà la sorte della legislatura. Che pare segnata: le Camere dovrebbero essere sciolte entro la fine dell’anno dal capo dello Stato e si dovrebbe andare al voto il 4 marzo. La polemica sullo Ius soli è un regalo di Natale di cui Matteo Renzi avrebbe fatto volentieri a meno, il Pd si ritrova di nuovo nella scomoda posizione di bersaglio degli attacchi che arrivano da destra, da sinistra e persino dall’interno del partito.
Intercettazioni. Ultimo passaggio domani in Consiglio dei ministri per la riforma delle intercettazioni, una misura attesa da anni e che — ottenuto il parere delle Camere — si avvia a diventare legge alla fine della legislatura. Nel decreto che varerà il governo viene introdotta una nuova filosofia delle intercettazioni, in cui privacy dei cittadini, diritto di cronaca dei media e obiettivi delle inchieste penali trovano un equilibrio diverso rispetto al passato. Cambiano le responsabilità, il procuratore generale avrà quella di custodire le intercettazioni in un archivio riservato, che verrà istituito. Gli ufficiali di polizia giudiziaria avranno gli stessi poteri del passato, ma non potranno più trascrivere se non le notizie utili a fini dell’inchiesta. Il pubblico ministero dovrà immediatamente selezionare quelle che entreranno a far parte del fascicolo del procedimento. Il testo che emerge è una versione mediata tra la voglia di limitare la pubblicazione di qualunque audio tout court, almeno fino alla prima sentenza, e il rischio, denunciato dai penalisti, di comprimere il diritto alla difesa. Il Guardasigilli: «Chi non è coinvolto non comparirà negli atti». Gli audio irrilevanti saranno distrutti.
Politica estera
Il principe Harry intervista Obama. Il 20 aprile 2011, Barack Obama accettò l’invito nel quartier generale di Facebook per rispondere alle domande di Mark Zuckerberg in un’intervista che sarebbe stata trasmessa in streaming su Internet. Grazie a quell’evento, ma non solo, Obama si guadagnò l’appellativo di “presidente social media”. Le sue campagne elettorali e i due mandati alla Casa Bianca hanno segnato l’era della politica social: Twitter e Facebook sono nati e cresciuti insieme a lui. Ai “guru” della rete obamiani — dall’ex socio di Zuckerberg Chris Hughes ad Alec Ross — si sono ispirati centinaia di spin doctor per gestire elezioni e mandati governativi. Sette anni dopo quell’intervista, però, Obama ne ha rilasciata un’altra, per dare un messaggio che potrebbe suonare come un paradosso. E forse non è un caso che, al posto dei canali multipli e orizzontali della rete, per farlo abbia scelto il broadcaster per antonomasia, la Bbc; e un interlocutore giovane e smart come Zuckerberg, ma assai diverso per lignaggio e tradizione: il principe Harry d’Inghilterra. Le sue parole non rinnegano i social, ma mettono in guardia dai pericoli di polarizzazione del pensiero. Secondo Obama, che non nomina Donald Trump ma lo critica tra le righe, «Noi leader dobbiamo trovare strade giuste per ricreare spazi condivisi su internet. Uno dei pericoli online è che la gente crei per se stessa realtà parallele, uniche, finendo incapsulata su informazioni omologate, rinchiusa nei pregiudizi di partenza. Non è facile essere crudeli e fastidiosi di persona come online, nascosti dall’anonimato».
Donald Trump. Il bilancio 2017 dell’operato del presidente Trump: “”L’anno presidenziale, che si era aperto con l’ordine esecutivo che cancellava l’accordo commerciale sulla Trans-Pacific Partnership (TPP), si è chiuso con la firma della riforma fiscale, il grande taglio delle tasse che dovrebbe servire a far ripartire domanda e produzione interna. Gli economisti temono però che sulla lunga distanza farà crescere enormemente il deficit. La decisione di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele ha riacceso le tensioni con il mondo arabo e portato a un voto contrario delle Nazioni Unite che ha isolato gli Stati Uniti. La reazione americana è stata un taglio al budget annuale versato all’Onu di 285 milioni di dollari. Intanto sale la tensione con la Corea del Nord e restano tesi i rapporti con l’Iran anche se Trump non ha più cancellato come promesso l’accordo sul nucleare. La decisione di riconoscere Gerusalemme capitale d’Israele ha riacceso le tensioni con il mondo arabo e portato a un voto contrario delle Nazioni Unite che ha isolato gli Stati Uniti. Trump ha sempre detto di non voler proseguire il percorso iniziato da Obama e gli Usa sono rimasti gli unici a non aver firmato l’accordo di Parigi. In patria ha smantellato il Clean Power Plan, le norme che limitavano le emissioni dagli impianti a carbone.
Intanto proseguono le proteste contro le sue politiche. Come tutti i venerdì anche domani Jeff Bergman, 39 anni, mercante d’arte, poco prima di mezzogiorno farà passare i libri che ha sottobraccio nel metal detector per piazzarsi al centro dell’androne di marmo della Trump Tower: il grattacielo sulla Fifth Avenue e quartier generale del presidente dove la famiglia ha vissuto fin quando, in autunno, Melania ha finalmente deciso di raggiungere il marito alla Casa Bianca. È qui che fra uomini dei servizi segreti, portieri in livrea con le iniziali “TT”, Trump Tower, ricamate sulle maniche e curiosi imbacuccati per il gran freddo – ogni venerdì Jeffsi schiarisce la voce. L’ultima volta è toccato a “L’ottimismo dell’incertezza di Howard Zinn. “Vengo alla Trump Tower da un anno: sì, anche durante le feste. Non mi ero mai considerato un attivista. Ma quando The Donald fu eletto sentii il bisogno di fare qualcosa.”
Economia e finanza
Titoli tossici banche Ue. Messi insieme formano una montagna, nei bilanci delle banche europee, che vale 6.800 miliardi di euro tra attivi e passivi. Si tratta di 12 volte l’ammontare dei crediti insofferenza. Eppure di titoli illiquidi (quelli che una volta venivano chiamati tossici e che sono catalogati in bilancio al «Livello a» e «Livello 3») si parla molto meno, sebbene rappresentino un rischio altrettanto importante. La Banca d’Italia, in uno studio che sarà pubblicato oggi, lo certifica nero sub ianco: non solo i titoli illiquidi sono opachi e complessi, non solo potrebbero essere soggetti a shock di prezzo, ma soprattutto rischiano di sconquassare i bilanci delle banche che li detengono. E il fatto che da Roma spesso si sia dissentito dalle decisioni di vigilanza della Bce non basta per liquidare questo lavoro senza pesarlo nel merito. Anche perché chiama implicitamente in causa l’approccio seguito finora da presidente e vicepresidente del Meccanismo di vigilanza unico: la francese Danièle Nouy e la tedesca Sabine Lautenschläger.
Tassazione. La legge di bilancio uniforma il prelievo sui dividendi. Si applicherà sempre l’imposta sostitutiva del 26%senza più differenze tra partecipazioni qualificate e non, di fatto allineando il prelievo su tutti i tipi di rendite finanziarie. Nel confronto con la tassazione a Irpef e relative addizionali, saranno marginalmente avvantaggiati i percettori di dividendi nella fascia di reddito oltre i 75 mila euro. Rischiano, invece, di essere notevolmente penalizzati (anche di Io punti percentuali) i contribuenti che incasseranno dividendi e che si troveranno negli scaglioni di reddito più bassi. Sono quindi immediatamente interessati dal nuovo regime i dividendi percepiti dal 1 gennaio ma deliberati in precedenza, nel corso del 2017. È la conseguenza – per la verità poco comprensibile della formulazione letterale della norma transitoria contenuta nel comma 1006 della legge di bilancio, che introduce uno speciale regime in relazione agli utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017.