Politica Interna
Il M5S e la piattaforma Rousseau. La vicenda delle incursioni hacker sulla piattaforma Rousseau e sui siti collegati al Movimento 5 Stelle si arricchisce di un nuovo capitolo. Il garante della privacy ha pubblicato il provvedimento relativo all’istruttoria aperta lo scorso agosto. Nell’atto — datato 21 dicembre e reso noto ieri — il garante Antonello Soro si riserva di valutare sanzioni amministrative nei confronti dell’Associazione Rousseau, responsabile del trattamento dati del sito dei pentastellati e della piattaforma. Viene contestata la «mancata designazione delle società Wind Tre Spa e Itnet Srl quali responsabili del trattamento dei dati personali degli utenti dei diversi siti riferibili al Movimento 5 Stelle», che «configura l’illiceità del trattamento medesimo in ragione della comunicazione dei dati a soggetti terzi, in mancanza del consenso degli interessati». Così, alla fine, il lato oscuro della Rete ha travolto il Movimento 5 stelle. Secondo il provvedimento emesso dal Garante della privacy, il «blog di Beppe Grillo», la piattaforma Rousseau e il «blog delle stelle», avrebbero schedato il voto dei loro iscritti. Non solo. I dati raccolti sarebbero stati lasciati in balia degli attacchi hacker e girati, illecitamente, a due società esterne. Insomma, maggiore trasparenza, chiede il Garante, altrimenti arriveranno sanzioni.
Radicali e Pd. Non è chiaro come andrà a finire la trattativa tra la lista Europa di Emma Bonino e il Pd. Se, cioè, quella di ieri è stata una nuova giornata di tensione come capita in tutti i negoziati più aspri o se invece quella stessa tensione preluda a una chiusura del tavolo e a destini separati. In realtà, in ogni trattativa è decisivo il calcolo dei costi e benefici di una rottura, a chi fa più danno e di certo una corsa solitaria della Bonino avrebbe quello maggiore. Che è il rischio di non riuscire a saltare l’asticella del 3% e quindi restare fuori dal Parlamento. Una sconfitta, è vero, ma anche per Renzi ci sono controindicazioni a uno strappo. Il primo è certamente un danno di immagine politica. Nel senso che si certifica che la coalizione non esiste: diventa un Pd con l’aggiunta dei centristi di Lorenzin e Casini che certo non hanno lo stesso appeal nel mondo “progressista” nonostante la “gamba” di Nencini e Bonelli. Insomma, perdere la faccia, il contributo e la cifra della Bonino e delle sue battaglie riduce il mondo di centro-sinistra, lo restringe in confini più stretti. «Se i Radicali vogliono un accordo si può chiudere in pochi giorni, un accordo politico, sia sui collegi che sulle firme». Nonostante sia in vacanza in montagna ai suoi dirigenti Matteo Renzi ha girato questo messaggio.
Politica Estera
Iran. Al sesto giorno di proteste la Guida Suprema Ali Khamenei mette tutto il suo peso in campo e lo fa con un attacco ai «nemici dell’Iran» che «negli ultimi giorni hanno usato diversi strumenti, dal denaro alle armi, alla politica, agli apparati di intelligence, per creare disordini nella Repubblica islamica». La dichiarazione è arrivata con messaggio sul suo sito ufficiale ma l’erede di Khomeini si è riservato di parlare alla nazione, probabilmente in tv, a «tempo debito». Khamenei rappresenta il massimo potere in Iran e finora si era tenuto equidistante fra le posizioni dei riformisti, a cominciare dal presidente Hassan Rohani, favorevoli al dialogo con la piazza, anche se non con «vandali e violenti», e gli oltranzisti, soprattutto la Guardia rivoluzionaria, che teme un complotto straniero volto al rovesciamento del regime. <Nessun intervento unilaterale sull’Iran da parte degli Usa>. Lo ha promesso ieri all’Onu l’ambasciatrice statunitense Nikki Haley al termine del Consiglio di Sicurezza. La missione Usa chiederà nei prossimi giorni l’apertura di una sessione di emergenza a New York e a Ginevra, che discuta la repressione della protesta nel paese islamico, e nel frattempo si impegna a non intervenire, in deroga all’accordo del 2015 che ha sospeso le sanzioni internazionali contro il regime di Teheran. La rassicurazione era necessaria dopo i tweet degli ultimi due giorni, con i quali Donald Trump ha assaltato il patto e promesso: «E’ tempo di cambiare».
Corea. Trasformare i prossimi giochi invernali nelle Olimpiadi della pace. E’ questa la scommessa del presidente sudcoreano, Moon Jae-in, che ieri ha convocato per il 9 gennaio un vertice con la Corea del nord che potrebbe ravvivare la diplomazia dopo che, nelle ultime settimane, sulla Penisola hanno soffiato solo venti di guerra. Il faccia a faccia tra esponenti dei rispettivi governi servirà ufficialmente per discutere della partecipazione degli atleti del nord alle Olimpiadi di PyeongChang (Corea del sud), in programma dal 9 al 25 febbraio. Ma, come ha dichiarato il ministro sudcoreano per l’Unificazione, Cho Myoung-gyon, l’obiettivo più generale è quello di «aprire la strada al miglioramento dei rapporti tra le Coree», tecnicamente ancora in stato di guerra dopo l’armistizio firmato a Panmunjom al termine del conflitto del 1950-1953. La premura è dovuta sia ai tempi stretti prima dell’inaugurazione dei Giochi, il 9 febbraio, sia all’ansia del presidente sudcoreano Moon Jaein di aprire finalmente un canale diretto di colloqui con Kim e scongiurare la guerra nella penisola. La tregua olimpica sarebbe un primo passo.
Economia e Finanza
Economia italiana e occupazione. Non è ancora chiaro quanto se ne rendano conto, ma i partiti stanno avviando la campagna elettorale in un mondo diverso da quello di ieri. In particolare, diverso da quello della settimana scorsa: con gennaio la Banca centrale europea ha iniziato ad attuare le sue decisioni di ottobre, dimezzando il ritmo degli acquisti di titoli di Stato sui mercati. Nell’unione monetaria ne comprerà ora per circa 30 miliardi di euro al mese, non più 60; specificamente sull’Italia lo farà per circa 4,5 miliardi, non più 9. A fine anno ne avrà dunque comprati per qualcosa più di 50 miliardi e allora, se prosegue la ripresa attuale, potrebbe fermarsi e poi limitarsi a reinvestire in bond sovrani i proventi di quelli che scadono via via. Sarebbe la prima volta in tre anni e dieci mesi. Durante questo lungo periodo i governi italiani hanno fatto salire il deficit (al netto degli interessi sul debito) malgrado la ripresa, si sono dimessi, e i leader hanno discusso di tutto meno che del debito pubblico in continuo aumento. «Sottolineo, ancora una volta, che il lavoro resta la prima, e la più grave, questione sociale. Anzitutto per i giovani, ma non soltanto per loro». Così Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno in televisione. Nonostante nella legislatura appena conclusa i posti di lavoro siano aumentati, tornando ai livelli precedenti la crisi economica, il richiamo del presidente della Repubblica è più che mai attuale perché sono ancora tante le anomalie e i problemi strutturali che devono essere risolti nel mercato del lavoro italiano.
Super-euro. L’economia Ue inizia il 2018 come aveva finito il 2017 — al galoppo — spinge l’euro ai massimi da tre anni sul dollaro e avvicina il momento in cui l’Italia e il suo debito pubblico dovranno fare a meno del paracadute di Mario Draghi. L’era della crisi dei debiti sovrani — dati alla mano — pare ormai (incrociando le dita) un capitolo del passato: l’Europa ha ripreso a correre e anche gli ultimi vagoni della locomotiva (Italia compresa) hanno agganciato il treno. La Bce, spiazzata, è stata costretta a ritoccare al rialzo dall’1,7% al 2,4% la stima sulla crescita del Pil dell’eurozona nel 2017. E i dati sull’attività manifatturiera di dicembre confermano che il momento “sì” continua: la fiducia delle imprese è al massimo dal 1997, quando ancora non esisteva la moneta unica, gli ordini sono in netta crescita, gli impianti dell’industria lavorano a pieno regime, come non succedeva da vent’anni. La debolezza del biglietto verde americano, che è arretrato di circa un punto percentuale e mezzo durante le festività ed è tornato ai livelli di metà settembre se si prende come riferimento il paniere di valute sintetizzato dal dollar index, è originata, a sentire gli analisti, dallo scetticismo sulla capacità della Federal Reserve di procedere ai tre annunciati ritocchi al costo del denaro nel corso del nuovo anno alla luce dell’attuale dinamica dell’inflazione