Federico Pirro*
Si ritiene opportuno ritornare sul Rapporto Svimez 2015 sull`economia del Mezzogiorno perché il corposo volume di ben 824 pagine consegnato ai presenti – e da non confondersi con le anticipazioni illustrate alla stampa il 30 luglio scorso continua a conservare un`impostazione metodologica sotto il profilo scientifico che appare bisognosa, a parere di chi scrive, di un profondo ripensamento. Quattro sono le parti che compongono il Rapporto: la prima dedicata agli andamenti del 2014 e a cenni sul 2015; la seconda, a ridurre le disuguaglianze nel lavoro, nel welfare, nella scuola e nella legalità; la terza, a focalizzare il posizionamento del Mezzogiorno nelle politiche europee, nazionali e regionali; e la quarta infine a indicare i drivers dello sviluppo che configurano il Mezzogiorno come opportunità per l`intero Paese. Ognuna di queste quattro parti poi è articolata a sua volta in sottosezioni dedicate a specifici aspetti dell`economia, della società e delle politiche per il Sud. Ora, senza scendere nel merito delle singole parti e delle loro sottosezioni – che meriterebbero ognuna di essere lette e approfondite, alimentando così specifici confronti fra esperti delle rispettive materie, ma che temo non saranno lette se non da pochissimi studiosi, risultando purtroppo `indigeribili` 824 pagine alla maggior parte dei potenziali lettori rilevo subito che è proprio l`impostazione macroterritoriale che caratterizza quasi tutti i capitoli del volume a risultare sempre meno utile per comprendere a fondo i processi che si svolgono nelle singole macroaree del Meridione. Faccio un solo esempio al riguardo: nel tredicesimo capitolo, contenuto nella terza parte e dedicato all`analisi dell`industria meridionale nella globalizzazione, vi è un solo approfondimento settoriale e territoriale su un segmento industriale
specifico del Sud, con un Focus – proposto e redatto dallo scrivente – sul comparto dell`automotive localizzato in Puglia e studiato per il periodo 2008-2014, interessato da ristrutturazioni e rilancio competitivo. Non è francamente troppo poco rispetto ai tanti settori industriali esistenti nell`industria insediata nell’Italia meridionale e bisognosi di essere analizzati più da vicino ? Non avrebbero meritato analisi egualmente approfondite la petrolchimica, l`aerospzio, l`agroalimentare, l`Ict, la farmaceutica, la cantieristica, solo per citare i settori più significativi ? E in proposito non risulta clamorosa l`omissione nel Rapporto di ogni riferimento alle vicende dell`Ilva, come se esse non avessero una marcata incidenza sull`andamento del Pil pugliese, meridionale e nazionale e non impegnassero a fondo il Governo ? Da questa mancanza di analisi differenziate ne derivano così valutazioni, a mio avviso nient`affatto condivisibili, circa la temuta desertificazione industriale delle regioni meridionali. Certo, fenomeni di deindustrializzazione si sono verificati in alcuni contesti, come ad esempio il Casertano, ma è dappertutto così ? Il settore dell`automotive non ha conosciuto invece negli ultimi due anni un fortissimo rilancio, grazie soprattutto (ma non solo) ai massicci investimenti nei grandi stabilimenti della Fiat Chrysler, dall`Abruzzo al Molise, dalla Campania alla Basilicata – il Melfese è tornato ad essere uno dei poli della meccanica più forti del Sud e del Paese – e sino alla Puglia ? E l`aerospazio nei due grandi distretti della Campania e della Puglia non ha conosciuto investimenti di gruppi come la GE Avio che sta facendo del suo sito di Brindisi uno dei poli di eccellenza mondiale nella manutenzione e costruzione della motoristica navale e aeronautica ? Sono solo alcuni esempi della carenza di analisi nel volume della Svimez che risultano ormai incomprensibili per una Associazione che ha avuto come suo scopo fondativo proprio quello di contribuire allo `sviluppo industriale del Mezzogiorno`. Ma un altro punto di debolezza, a nostro avviso, del Rapporto è la sua indicazione dei cosiddetti drivers per la crescita dell’area meridionale, qualcuno dei quali (la logistica) già previsto peraltro e portato innanzi dal Governo con il Piano strategico nazionale della portualità e della logistica presentato dal Ministro Delrio. Logistica industriale, energie rinnovabili, riqualificazione urbana e agroalimentare – indicati dai vertici della Svimez come campi di intervento strategico per il rilancio del Sud – se pure sono settori nei quali è possibile promuovere nuovi interventi creando occupazione aggiuntiva, non possono tuttavia far dimenticare che nelle regioni meridionali esiste un apparato industriale con comparti tuttora strategici del manifatturiero che non possono in alcun modo essere dimenticati come siderurgia, automotive, aerospazio, chimica di base e fine, Ict, cantieristica. E poi, andando più a fondo nel settore delle rinnovabili, v`è da rilevare che il problema fondamentale oggi non è tanto quello di incrementarne la capacità di generazione già insediata, ma quello di adeguare la rete di trasmissione alla generazione potenziale che spesso rimane inattivata proprio per l`inadeguatezza di quella rete. E la rigenerazione urbana – peraltro già prevista dal Governo con lo Sblocca Italia deve poi fare i conti con lo stato effettivo degli strumenti urbanistici esistenti o in via di definizione in tante città piccole, medie e grandi del Mezzogiorno. Insomma alla Svimez, oggi e per prossimi anni, si richiedono più analisi ravvicinate ai territori, più scouting di imprese ed aree ormai competitive a livello anche internazionale e più attenzione ai processi effettivamente in atto nel Sud, rispetto ai quali molte analisi dell`Associazione risultano ormai da tempo largamente sfocate e sostanzialmente incapaci di offrire le soluzioni ai problemi esistenti. Soluzioni che, invece, vanno ricercate in un fecondo confronto con Governo e Istituzioni locali, senza nutrire la presunzione di poter indicare da soli `Piani di primo intervento` che in molti casi altri soggetti competenti nelle singole materie come i Ministeri e le Regioni stanno portando innanzi già da tempo. E non sarà certo un arroccamento sdegnato e autoreferenziale della Svimez con le sue proposte a renderla più ascoltata da parte dei decision maker.
*Università di Bari
Fonte: L’Unità