Michele Eugenio Di Carlo

Le “Lettere meridionali” di Pasquale Villari, pubblicate nel 1875 dall’ “Opinione” di
Torino, avevano per la prima volta, in maniera decisa, posto l’accenno sulle gravissime
responsabilità dei governi conservatori liberali per il modo in cui avevano gestito, nei primi
quindici anni del Regno d’Italia, l’annessione delle province del Mezzogiorno, definita più
tardi «conquista regia» da Guido Dorso. Una conquista avvenuta utilizzando mezzi
repressivi violenti contro le rivolte contadine e bracciantili, nel riuscito tentativo di
conservare privilegi semifeudali alla borghesia terriera, detentrice di estesi latifondi in gran
parte usurpati.
Con Villari nasceva la questione meridionale e con essa «la storia delle analisi, dei
dibattiti, delle politiche relative ai problemi del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese” 1 ,
costringendo il conservatorismo liberale al potere ad affrontare con analisi politiche,
economiche e storiche i condizionamenti classisti e gli errori di fondo che avevano
seriamente compromesso il breve percorso unitario. Un percorso sempre più fragile nel
momento stesso in cui la Destra storica stava perdendo il potere e avanzavano
prepotentemente, soprattutto nel Mezzogiorno, le sollecitazioni clericali, socialiste,
anarchiche.

Il pensiero politico di Villari veniva subito ripreso dai giovani conservatori toscani
Franchetti e Sonnino con un saggio pubblicato nel 1877 in due volumi “La Sicilia nel 1876”
2 , il primo scritto da Franchetti sulle condizioni amministrative e politiche, il secondo da
Sonnino sulle infelici condizioni dei contadini siciliani.
Leopoldo Franchetti era nato a Livorno nel 1847 da una benestante famiglia di origine
ebraica. Si era laureato in Legge nel 1870 a Pisa, dove aveva incontrato Sonnino e aveva
ricevuto gli insegnamenti di Pasquale Villari. Dopo l’inchiesta sulla Sicilia del 1876,
fondava nel 1878 insieme a Sonnino la rivista “Rassegna settimanale”. In seguito, nel

1910, insieme a Giustino Fortunato fondava l’ “Associazione per gli interessi del
Mezzogiorno”, presiedendola fino alla morte avvenuta nel 1917.
Sidney Sonnino nasceva nello stesso anno a Pisa, oltre che cofondatore con
Franchetti della “Rassegna settimanale” di Firenze, fondava nel 1901 “Il Giornale d’Italia”.
Sarà eletto ininterrottamente dal 1880 al 1913 alla Camera dei Deputati dalla XIV alla
XXIV legislatura, svolgerà le funzioni di Sottosegretario di Stato al Ministero del Tesoro nel
1889, di ministro delle Finanze nel biennio 1893-94, di ministro del Tesoro dal 1894 al
1896, di Presidente del Consiglio dall’8 febbraio al 27 maggio 1906 e dall’11 dicembre
1909 al 31 marzo 1910, di ministro dell’Interno e, più volte, di ministro degli Affari Esteri
dal 1914 al 1919. Sarà nominato senatore il 3 ottobre 1920, due anni prima della morte
avvenuta nel 1922 3 .

Il viaggio di Franchetti e Sonnino in Sicilia, al fine di studiare sul campo le condizioni
sociali, politiche e amministrative, nonché i rapporti tra mafia e poteri locali, era iniziato
dopo che con legge del 3 luglio 1875 si era costituita una Giunta parlamentare d’inchiesta
al fine di indagare sullo stato della Sicilia. I risultati della Giunta erano stati presentati il 3
luglio 1876 dal deputato Bonfandini 4 . Il dibattito politico, precedente e successivo, alla
relazione sull’inchiesta aveva assunto toni estremamente aspri con la Sinistra
parlamentare che colpevolizzava la Destra di non aver adottato le politiche necessarie a
sanare gli squilibri e le disuguaglianze del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese,
privilegiando il mantenimento di un sistema feudale agrario e scatenando una questione
sociale che aveva raggiunto livelli estremi. Ma più dell’inchiesta parlamentare erano le
relazioni di Franchetti e di Sonnino a cogliere la vera natura della questione agraria e
demaniale e della mafia nei suoi intrecci col ceto politico ed economico dominante.
Franchetti e Sonnino avevano, più del loro maestro Villari, focalizzato l’attenzione sulla
questione meridionale, mettendo a fuoco fenomeni socio-politici quali «anarchia delle
classi dirigenti, ribellioni contadine, resistenze regionalistiche, larga influenza ideologica
del clero», in un contesto sociale dove l’ostacolo primario allo sviluppo della società era
rappresentato dall’assoluto predominio del «ceto agrario parassitario e usuraio» nei
riguardi del quale i governi liberali del primo quindicennio unitario avevano operato «ora
piegandosi al compromesso ora svolgendo una politica puramente repressiva» 5 .

Franchetti e Sonnino sono stati portatori di un progetto politico riformistico, pur in un
contesto pienamente e consapevolmente conservatore. Un progetto che sarà destinato a
non produrre effetti nella realtà socio-economica del Mezzogiorno, nonostante Sonnino
avrebbe rivestito in seguito importanti incarichi governativi in qualità persino di presidente
del Consiglio dei ministri.
Infatti Antonio Gramsci, in “Alcuni temi sulla quistione meridionale” del 1926 scriveva
che il progetto di Sonnino e Franchetti aveva avuto l’aspirazione di «creare nell’Italia
meridionale uno strato medio indipendente di carattere economico che funzionasse […] da
“opinione pubblica” e limitasse i crudeli arbitrii dei proprietari da una parte e moderasse
l’insurrezionismo dei contadini poveri dall’altra». Il grande intellettuale affermava che «il
piano governativo di Sonnino e Franchetti non ebbe neanche l’inizio di una attuazione»,
spiegandone lucidamente i motivi nel contesto della relazione dei rapporti tra Nord e Sud
in riferimento alla particolare organizzazione dell’economia nazionale e dello Stato, «tale
per cui la nascita di una classe media diffusa di natura economica» e quindi di una
«borghesia capitalistica diffusa» era «resa quasi impossibile». Per Gramsci «ogni
accumulazione di capitali sul luogo e ogni accumulazione di risparmi è resa impossibile dal
sistema fiscale e doganale e dal fatto che i capitalisti proprietari di aziende non
trasformano sul posto il profitto in nuovo capitale perché non sono del posto». Gramsci
riteneva che i governi liberali non avevano avuto altro obiettivo che conservare quel
«mostruoso blocco agrario» che aveva funzionato da intermediario e da «sorvegliante del
capitalismo settentrionale e delle grandi banche». Non rilevava all’interno di quel sistema
«nessuna luce intellettuale, nessun programma, nessuna spinta a miglioramenti e
progressi», se non al di fuori del Mezzogiorno, nei «gruppi politici agrari conservatori,
specialmente della Toscana, che nel Parlamento erano consorziati ai conservatori del
blocco agrario meridionale» e di cui facevano parte Franchetti e Sonnino, definiti
benevolmente «borghesi intelligenti», spaventati dallo spettro dell’anarchismo che Bakunin
rappresentava allora nel Mezzogiorno 6 . Era questa l’occasione per polemizzare con
Giustino Fortunato e Benedetto Croce, ritenuti i grandi intellettuali a protezione degli
interessi dei ceti agrari e quindi definiti come «i reazionari più operosi della penisola» 7 .
Nella sua relazione 8 Franchetti aveva ammesso il fallimento del governo e il suo totale
cedimento ai poteri locali, legittimi e illegittimi: «In un paese dove niuno crede che le leggi
siano superiori a tutti e per tutti uguali, e dove è convinzione generale che la loro
applicazione dipenda dalla autorità dei potentati locali, ogni concessione che venga fatta
ribadisce l’universale credenza». Sul ruolo dei deputati siciliani, l’intellettuale toscano era
ancora più drastico, parendogli che avessero «dai loro elettori il mandato, più che di far
nuove leggi, di procurare che siano fatte eccezioni a quelle in vigore».
Sonnino, da parte sua, aveva focalizzato la sua relazione 9 sulle disperate condizioni
delle masse rurali del Mezzogiorno, in un contesto sociale che non aveva mai spezzato il
legame feudale che costringeva il contadino ad essere legato alla terra e al padrone,
laddove, invece, persino in Irlanda nel 1870 con il “Land Act” erano stati assicurati ai
contadini i piccoli appezzamenti di terreno in cui lavoravano. L’eversione della feudalità in
Sicilia era avvenuta nel 1806, sei anni dopo che fosse promulgata nel Regno di Napoli da
parte degli invasori francesi, ma come correttamente scriveva Sonnino «l’abolizione di
diritto del sistema feudale non produsse nessuna rivoluzione sociale, appunto perché i
feudi […] furono lasciati in libera proprietà agli antichi baroni: onde al legame tra il
coltivatore e il suolo, che prima era costituito dalla stessa servitù feudale, non si sostituì
come altrove l’altro vincolo della proprietà, ma invece quel legame fu semplicemente rotto,
e il contadino si trovò libero in diritto, senza doveri ma anche senza diritti, e quindi ridotto
di fatto a maggior schiavitù di prima per effetto della propria miseria» 10 .

1 P. BEVILACQUA, La questione meridionale nell’analisi dei meridionalisti, in Lezioni sul meridionalismo,
Sabino Cassese (a cura di), Bologna, Il Mulino, 2016, p. 15.
2 L. FRANCHETTI – S. SONNINO, La Sicilia del 1876, Firenze, Barbera, 1877.
3 Scheda senatore Sidney Sonnino, sito del Senato della Repubblica, senatori d’Italia.
4 Relazione della Giunta per l’inchiesta sulle condizioni della Sicilia: nominata secondo il disposto dell’articolo
2 della legge 3 luglio 1875, Roma, Tip. Eredi Botta, 1876.
5 R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. 1°. Bari, Laterza § Figli, 1966, p. 119.
6 A. GRAMSCI, Alcuni temi della quistione meridionale, in Id. La questione meridionale (a cura di Franco De
Felice e Valentino Parlato), Roma, Editori Riuniti, 2005, pp. 181-183.
7 Ivi, pp. 184-85.
8 L. FRANCHETTI, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Firenze, Barbera, 1877.
9 S. SONNINO, I contadini in Sicilia, Firenze, Barbera, 1877.
10 R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. 1°, cit., p. 136.