Angelo Panebianco, Corriere della Sera
La forza a metà di Macron e la lezione dalla Francia. Angelo Panebianco sul Corriere della Sera analizza così il post voto francese ed europeo: “Il mondo occidentale, l’Unione Europea, la Nato. Tutti in queste ore brindano allo scampato pericolo. Tutti sono grati ai francesi per avere riconfermato Macron. Nell’immediato – osserva l’editorialista – una presidenza Le Pen avrebbe compromesso la tenuta del fronte occidentale nella guerra. Nel più lungo termine, avrebbe bloccato l’integrazione europea e inferto colpi mortali all’Alleanza atlantica. Si pensi poi agli effetti di contagio. Ma se, nella scelta fra Macron e Le Pen, hanno sicuramente pesato soprattutto motivazioni economiche un qualche peso deve averlo avuto anche la guerra e la minaccia della Russia all’Europa. Era chiaro a tanti che una vittoria di Marine Le Pen sarebbe risultata assai gradita al dittatore russo. Tutto bene dunque? Ci sono due incognite. La prima riguarda le elezioni parlamentari di giugno. Forse, come ci si aspetta, la vittoria di Macron avrà un effetto di trascinamento su quel voto. Ma sé, per ipotesi, i macronisti non ottenessero la maggioranza dei seggi, allora la presidenza Macron verrebbe subito azzoppata. La seconda incognita – spiega – ha a che fare con la politica che Macron vorrà o potrà fare in Europa. Come risulta dal breve discorso fatto dopo la vittoria, il presidente riconfermato è ben consapevole del fatto che il suo Paese è spaccato e polarizzato. Ma le elezioni francesi ci dicono anche un’altra cosa. Ci dicono che le ragioni di preoccupazione per il futuro delle democrazie europee, e dell’Occidente nel suo insieme, non sono affatto superate. Dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Italia alla Spagna, una insoddisfazione diffusa e un rabbioso rancore nei confronti dei rispettivi establishment. Sfidato dall’esterno (dalle potenze autoritarie) e dai movimenti illiberali all’interno, l’Occidente resta in grave affanno. Una parte delle sue élites se ne rende conto. Ma un’altra parte, a giudicare da quanto viene detto e scritto da molti, non lo ha ancora capito. E ciò complica il compito di chi ha il dovere istituzionale di fronteggiare quella doppia sfida. Macron ha scelto la strada giusta, l’unica possibile, per governare l’immigrazione: accoglienza sì ma secondo regole, a tutela dei francesi, che non possono essere violate. Gli italiani di destra e di sinistra – conclude – farebbero un’ottima cosa se andassero a lezione da lui”.
Alberto Melloni, la Repubblica
La guerra in Ucraina, almeno per ora, ha sancito la fine dell’ecumenismo. Lo scrive Alberto Melloni su Repubblica: “Le Chiese hanno celebrato nelle due Pasque, cattolica e ortodossa, la loro divisione: prodromo e parte di una guerra che, insieme a vite e città, ha ridotto in macerie l’ecumenismo. Anziché diventare seme di riconciliazione, le Chiese si lasciano corteggiare da chi le vuole arruolare sotto la propria bandiera e promette vittoria. L’ex arcivescovo di Canterbury Rowan Williams – sottolinea l’editorialista – ha chiesto l’espulsione di Mosca dal Consiglio ecumenico delle Chiese, come se essere ortodossi fosse una colpa. Gli uniati greco-cattolici rimproverano il Papa perché non dice che ‘Putin è il diavolo’. La conferenza episcopale tedesca giustifica il riarmo della Germania abrogando il trattato di pace e la questione della colpa. Il patriarca Kirill ha giustificato per troppe domeniche la guerra. Il Papa, strattonato dall’Occidente a suon di citazioni wojtyliane, ha resistito convinto che solo un invasato possa confondere la sua voce con la propaganda russa. Ma alla fine s’è piegato alla sua diplomazia e ha cancellato l’incontro con Kirill a Gerusalemme, che andava se mai anticipato. Così, davanti a una guerra di cui sono state l’incubatore spirituale, le Chiese rinunciano al loro dialogo di comunione: se anche fosse inutile, sarebbe comunque ‘loro’. E si riconsegnano all’idea che si possa vivere il tempo della guerra guardando in tv il derby fra pacifismo da talk show e interventismo da talk show. Ne esce in macerie l’ecumenismo: cioè quel desiderio di unità visibile che aveva percorso il cristianesimo da fine Ottocento. Contro la teologia liberale che riduceva la fede a un portato di valori morale, l’obbedienza al Vangelo insegnava alle Chiese a leggere nella storia il giudizio di Dio sulla loro presunzione di possederlo, sulla loro disubbidienza sfrontata al comando dell’unità, sulla loro indocilità ad essere seme di riconciliazione; e dunque a fiutare nella storia la grazia. Così nessuno — né Roma né Ginevra né Canterbury — ha colto scricchiolii drammatici: la funesta diserzione russa al concilio di Creta del 2016, il filetismo strisciante di Poroshenko che proclamava «una lingua, un esercito, una Chiesa», il nefasto scisma che ha separato Mosca e Costantinopoli dopo la proclamazione dell’autocefalia ucraina nel 2018. Una tragedia tutta cristiana – conclude Melloni – che per diventare guerra aveva solo bisogno di tempo, pigrizia e vanità: e li ha avuti”.
Edmondo Bruti Liberati, La Stampa
La riforma della giustizia è in complesso debole ma allo stesso tempo lo sciopero indetto dai magistrati è sbagliato. Lo scrive Edmondo Bruti Liberati sulla Stampa sottolineando che “il voto alla Camera chiude la prima fase della vicenda del Ddl 2681 sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm presentato il 28 settembre 2020 dal ministro Bonafede: una proposta piuttosto sgangherata ispirata a un ridimensionamento del Csm, con ampie concessioni alla demagogia del sorteggio. La Commissione, nominata dalla nuova ministra Cartabia, presieduta dal professor Massimo Luciani ha elaborato una organica riscrittura della riforma Bonafede, con l’abbandono del ridimensionamento del Csm e ha proposto un innovativo sistema elettorale. Dopo una lunga gestazione il Consiglio dei ministri ha varato un maxiemendamento che ha raccolto la logica della commissione Luciani, ma ha introdotto discutibili nuove disposizioni. Su questo testo – osserva Bruti Liberati – si è poi sviluppato un fuoco di fila da parte di esponenti delle stesse forze politiche di governo con emendamenti che ne avrebbero stravolto l’impianto. La filosofia di questi emendamenti e, ancor più, il battage di dichiarazioni che li accompagnava sembravano ispirati ad uno spirito di vendetta e di umiliazione della magistratura, più che alla costruzione di una organizzazione idonea a perseguire l’efficienza del sistema di giustizia. Il tutto in un clima surreale in cui si dimenticava che gli ambiziosi obiettivi di riduzione dei tempi del processo civile e penale perseguiti con il Pnrr sostanzialmente si reggono sulle spalle della magistratura. Ardite giravolte poi sul sistema elettorale del Csm. Se il sonno della ragione produce mostri, il sacrificio sull’altare della demagogia genera assurdità. Il testo infine approvato ha ridimensionato le punte estreme, ma rimangono sgrammaticature e irrazionalità e soprattutto il sapore di uno spirito se non di vendetta, certo di umiliazione della magistratura. L’Associazione Nazionale Magistrati ha tutte le ragioni per raccogliere la protesta dei magistrati, che si vedono attaccati e umiliati proprio quando lavorano a far ripartire la macchina della giustizia dopo l’emergenza Covid. Ma l’Anm sarà all’altezza della sua migliore tradizione se, in luogo dell’evocato sciopero, si impegnerà a indirizzare la protesta in una critica costruttiva e nell’impegno per un migliore servizio di giustizia. Questo – conclude l’ex capo dell’Anm – lo scatto di orgoglio che ci si aspetta come risposta della magistratura italiana per ricostruire la fiducia dei cittadini”.