La lotta alle mafie è la grande assente di questi quattro mesi di emergenza Covid-19. Non che prima andasse molto meglio, ma, perlomeno qualcuno ogni tanto ne parlava. In questo periodo invece c’è davvero un silenzio assordante sia da parte di chi governa sia di chi è all’opposizione. Per rendere l’idea, potremmo attualizzare il pensiero di Paolo Borsellino quando affermava che politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. I mafiosi veri vogliono evitare che di mafia e di possibili infiltrazioni si parli costantemente. Le mafie non sparano più e non fanno stragi, perché sanno che il loro enorme potere economico e finanziario può mettere in crisi lo Stato inquinando il tessuto economico e sociale.
Nonostante siano cambiati due Governi, dall’inizio della legislatura, non sento parlare di lotta alla mafia. Chi è moralmente onesto, nota quanto la sottovalutazione della questione mafiosa sia sotto gli occhi di tutti in questi mesi di emergenza sanitaria. Io sogno una politica che lotti la criminalità organizzata con gli stessi mezzi e la medesima intensità con cui ha fatto rispettare in questi quattro mesi la quarantena ai cittadini italiani. Con volanti tutti i giorni sulle strade ed elicotteri che sorvolano le città. Sentire il magistrato napoletano Catello Maresca dire “è finito tutto, sono stato lasciato solo, non ci sto più, vado a casa”, fa male al cuore. Quelle parole le disse il mio “Maestro” Antonino Caponnetto e poi mi spiegò che rappresentavano un momento di grande sconforto che però furono successivamente per lui uno stimolo a riprendere il difficilissimo cammino di lotta alle mafie. Non conosco personalmente il dottor Maresca ma sono certo che anche per lui rappresentino un momento di sconforto, dal quale, come avvenne per Caponnetto, occorre ripartire più forti e più determinati.
Non bisogna mai arrendersi e mai piegare la schiena. Occorre ricercare la verità a tutti i costi, lo dobbiamo ai cittadini e alle vittime di mafia che anelano giustizia. Per questi e tanti altri motivi, per una volta, mi piacerebbe, che certi “politicanti” invece di rimanere in quell’odioso silenzio complice reagissero con forza facendo comprendere alle mafie che lo Stato c’è. Credo, ed ho sempre creduto, da quando ho avuto la fortuna di poter frequentare Antonino Caponnetto che la mafia si possa battere, ma per farlo occorrono un insieme di strumenti normativi specifici e le persone migliori che lo Stato possa esprimere. Non a caso Giovanni Falcone era convinto che la mafia si potesse battere “non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”. La mia più grande speranza è che si possa ancora parlare e scrivere di mafia. Abbiamo bisogno che se ne parli e non che ci sia il silenzio più assoluto. Abbiamo bisogno delle parole, di quelle che scaldino gli animi e diano speranza e portino poi ad agire in concreto.
Contano i fatti ma anche le parole, quelle che non prendano in giro, ma affermino la verità e cerchino la giustizia. La scrivo sperando possano leggerlo tanti giovani. Io non voglio credere che sconfiggere la mafia sia un’illusione. Allora agisco innanzitutto parlandone e facendola conoscere per poterla combattere e superare il velo d’ignoranza e d’immobilismo che vive in questo periodo anche la società civile italiana e non solo lo Stato. In un Paese in cui la mafia controlla politica, economia, finanza, informazione se il silenzio prevarrà sul “parlato”, la battaglia diventa difficilissima da vincere. La mafia esiste ed è forte, ma, esistiamo anche noi e siamo tanti, solo che non abbiamo “voglia di rimboccarci le maniche e cominciare a cambiare, perché vi è un prezzo da pagare. Ed é allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”. Per una volta non lamentiamoci ma facciamo! Un pensiero, da modestissimo studioso dei fenomeni mafiosi, lo invio a tutti i magistrati e le forze di polizia impegnati nella lotta alla mafia, con l’esortazione a non mollare mai. Auguro a tutti i giornalisti di fare il proprio mestiere con dignità e che lottino per la libertà d’informazione e la ricerca della verità. Un abbraccio intenso e profondo alle vittime delle mafie e alle loro famiglie per non dimenticare mai il sangue innocente che è stato versato. Il mio disprezzo, invece, va a tutti quelli che vogliono stare a guardare pensando che la mafia non sia un loro problema. Per quanto mi riguarda, infine, continuerò senza sosta a sensibilizzare i più giovani sui temi che riguardano le mafie sperando che – come diceva Paolo Borsellino – la lotta alla mafia diventi un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, associato della School of Public Affairs and Administration (SPAA) presso la Rutgers University di Newark (USA). Presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise e direttore Scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.