In sette anni è aumentata del 72% Icontinontornano,nella gestione dei rifiuti. Mentre la produzione nel Paese diminuisce, e cresce invece la quota della raccolta differenziata, le tasse pagate per il loro smaltimento continuanoadaumentare, intutta Italia. Costi eccessivi e ingiustificati che derivano, innanzitutto, da inefficienze e troppe discrezionalità di molte amministrazioni locali, da una distorta applicazione di norme e regolamenti, e dal continuo ricorso a coefficienti tariffari massimi. La Tari, tassa sui rifiuti pagata da cittadini e imprese, in 7 anni è quasi raddoppiata. Nel 2017 è arrivata, complessivamente, a 9,3miliardi, con un aumento del 72% rispetto al 2010, che corrisponde a un incremento di 3,9miliardi.
Le imprese continuano a pagare di piùnonostante laproduzionedei rifiuti sia diminuita da 32,4milioni di tonnellate del 2010 a 30milioni nel 2016. Scenari cheemergono dal primomonitoraggio del portale di Confcommercio (consultabile al sito osservatoriotasselocali.it), uno strumento dedicato alla raccolta e all’analisi di dati sul territorio sulla tassa rifiuti pagata da cittadini e imprese del terziario. I commercianti rilevano come per le imprese ci siano semprepiùdistorsioni e divari di costo tra le stesse categorie economiche a parità di condizioni e nella stessa provincia. Ad esempio, un albergo con ristorante dimillemetri quadri di superficie paga 4.210 euro l’anno a San Cesario, in provincia di Lecce, mentre paga 7.770 euro a Lecce.
Inmedia, il 62% dei Comuni capoluogo di provincia registra una spesa superiore rispetto ai propri fabbisogni, e questa inefficienza delle amministrazioni locali costa a cittadini e imprese un miliardo l’anno a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi comunitari di raccolta differenziata: siamo al 52% del totale, contro il 65%fissato a livelloeuropeo.In sostanza, la raccoltadifferenziata in Italia cresce, nel 2017 sono state oltre unmilione le tonnellate (+11,7% rispetto al 2016) di scarti raccolte inmodo differenziato,ma ancora non basta.
In molti casi poi, rileva l’osservatorio di Confcommercio, le imprese pagano costi per un servizio mai erogato (con aggravi di oltre l’80%), o per il mancato riconoscimento della stagionalità delle attività.Ad esempio, nel primo caso,a Roma,un distributore di carburante di 300 metri quadri paga 2.667 euro,mentre l’importo corretto dovrebbe essere di 446 euro; nel secondo caso, un campeggio di 5mila mq nel Comune di Fiumicino paga 13.136 euro quando per i soli 5 mesi di attività dovrebbe pagarne 5.473.
fonte: Libero