VINCENZO MUSACCHIO*
Secondo la Corte Costituzionale non esiste nessuna norma che possa disporre conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive di partito. Il parlamentare, pur eletto con un partito di cui dovrebbe condividere gli orientamenti, deve comunque agire secondo il proprio convincimento, in base al divieto di vincolo di mandato. Farà sue valutazioni, all’interno delle quali ci sarà anche una riflessione sull’aderenza all’indirizzo del gruppo, ma alla fine non può che decidere e votare liberamente. Il divieto di mandato imperativo importa che il parlamentare sia libero di votare secondo l’indirizzo del suo partito ma sia anche libero di sottrarsene. Nessuna norma potrebbe legittimamente disporre conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito.
È chiaro che ogni parlamentare farà il suo bilanciamento tra la rappresentanza della Nazione e la sua appartenenza politica: il gruppo rimane libero di sanzionarlo ma la sostituzione immediata mal si concilia con l’art. 67 della nostra Costituzione. La sanzione non si applica al parlamentare ma al membro del gruppo. Il divieto di mandato imperativo è una norma fondamentale che assicura al parlamentare di non essere condizionato da interessi specifici, e anche di poter mantenere fede agli impegni presi con gli elettori. Potrebbe anche verificarsi che un partito cambi linea politica nel corso della legislatura, ma il parlamentare potrebbe voler tenere fede agli impegni assunti direttamente con i suoi elettori. La Costituzione non è nata da una proposta del Governo, ma da una vera discussione democratica in Assemblea. Sarebbe bene non dimenticarsene mai e seguire quell’esempio.
*Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sulla Corruzione in Roma