Non è stata una passeggiata. Ma alla fine l’Italia è riuscita a imporre la sua linea sul regolamento degli imballaggi. La proposta avanzata dal Consiglio europeo, orientata sul riuso dei materiali e non sul riciclo, aveva ribaltato quella approvata dal Parlamento di Strasburgo, trasformandola in un vero e proprio salasso non solo per l’industria del packaging ma per intere filiere produttive, dall’agroalimentare alla farmaceutica, che valgono circa il 30% del Pil. Si spiega anche così la soddisfazione della premier, Giorgia Meloni, che ieri ha voluto sottolineare “come un’Italia coesa e determinata possa davvero spostare gli equilibri a Bruxelles e giocare un ruolo da protagonista. Un’Italia che non si arrende a soluzioni che penalizzano la nostra industria, ma che è capace di continuare a negoziare fino alla fine in maniera decisa, facendo valere la bontà dei propri argomenti”. Una trattativa serrata, che ha passato al setaccio tutte le norme di un regolamento monstre di oltre 700 pagine, che di fatto avrebbe rimesso in discussione un modello, quello dell’economia circolare, in cui l’Italia è leader e rappresenta un valore aggiunto anche per la competitività europea.
“Desidero ringraziare il presidente del Consiglio e tutti i ministri del nostro governo, da Tajani a Fitto, da Pichetto Fratin a Giorgetti e Urso. A novembre – ricorda Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria e a capo di Seda International Packaging Group – i parlamentari italiani erano riusciti a costruire un consenso da parte della stragrande maggioranza del Parlamento europeo con la convergenza di rappresentati di varie forze politiche e Paesi membri. Posizione espressa grazie all’impegno corale dei relatori e dei relatori “ombra” (Massimiliano Salini, Patrizia Toia, Pietro Fiocchi, e Silvia Sardone) e dei rispettivi capi delegazione politici”, a partire da Fulvio Martusciello, di Forza Italia. A sbloccare l’intesa anche il varo della direttiva sul “dovere di diligenza”, chiesta a gran voce dalla Germania e che impone alla grandi aziende europee degli obblighi di vigilanza sul rispetto delle convenzioni internazionali in campo ambientale e dei diritti umani, sociali e del lavoro. Ma che cosa cambia per i cittadini? Le limitazioni riguardano soprattutto gli imballaggi in plastica: saranno vietate le buste confezionare frutta e verdura sotto gli 1,5 chili, sia pure con deroghe per evitare perdita di acqua, o di turgore, rischi microbiologici o shock fisici, ossidazione. Si salva. Comunque, la busta di plastica con l’insalata lavata. Al bando piatti e bicchieri monouso, ma non se servono per il takeaway. Spariranno invece invece all’interno dei locali. Le trattorie più spartane e i fastfood dovranno insomma organizzarsi. Non però se nel locale manca l’acqua corrente: sono salvi insomma gran parte dei chioschi. Messi al bando condimenti monouso e confezioni singole di zucchero, caffè o simili, ma non se accompagnano cibi da asporto e soprattutto non se la scelta di usarli sia legata a ragioni di sicurezza e igiene ad esempio in case di cura e ospedali. Sono invece destinati a sparire del tutto i flaconcini con cosmetici monouso come i mini-saponi e mini-shampoo negli alberghi.
Al di là delle trattative diplomatiche e degli obiettivi di riduzione degli imballaggi di plastica, resta il fatto che con il regolamento varato ieri si difende il sistema di economia “circolare” che ha permesso di raggiungere risultati molto ambiziosi in termini di racconta e riciclo dei rifiuti: non a caso l’Europa è l’unico Continente che vede la sua emissione di gas serra diminuire, nel terzo trimestre del 2023, le emissioni di CO2 si sono ridotte del 7,1% rispetto all’anno precedente. Un modello che coniuga crescita economica e sostenibilità ambientale, spiega ancora D’amato: “L’italia quando fa squadra vince ed è così che si difende la competitività del sistema industriale italiano ed europeo”.