Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute.
Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale
marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni
in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la
mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell’offerta di servizi di prevenzione.
Le storie immaginarie di due donne, una calabrese e una emiliana, narrate nella clip, riflettono la realtà dei divari
Nord-Sud nella qualità dei Sistemi Sanitari Regionali (SSR) e della conseguente “scelta” di molti cittadini del Mezzogiorno di
ricevere assistenza nelle strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per curare le patologie più gravi.
I divari territoriali sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema Sanitario Pubblico italiano
che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche (in media 6,6% del PIL contro
il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia), a fronte di un contributo privato comparativamente elevato (24% della spesa
sanitaria complessiva, il doppio di Francia e Germania). Da un lato, il bilancio nazionale della sanità non copre integralmente il costo dei LEA,
quelle prestazioni e servizi che dovrebbero essere offerti in quantità e qualità uniformi in tutto il
territorio nazionale. Dall’altro, la distribuzione regionale delle risorse, basata su dimensione e struttura per età della
popolazione, non rispecchia gli effettivi bisogni di cura e assistenza dei diversi territori, condizionati anche da fattori
socio-economici non contemplati nei criteri di riparto. Dai dati regionalizzati di spesa sanitaria risultano livelli di spesa
per abitante, corrente e per investimenti, mediamente più contenuti nelle regioni meridionali. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa
si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Per la parte di spesa
in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato
nazionale si attesta su una media di 41 euro.
Il monitoraggio LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità delle
prestazioni fornite dai diversi SSR, fa emergere i deludenti risultati del Sud. Nell’ambito della prevenzione oncologica,
il ritardo è particolarmente evidente nei tassi di adesione ai programmi di screening, che riflettono anche le carenze di
offerta dei SSR meridionali. Queste spiegano anche la “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del
Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il
44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, è la Calabria a registrare l’incidenza più
elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%)
e Sicilia (16,5%).
Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze
da percorrere per ricevere assistenza. Investire in sanità dovrebbe tornare tra le priorità nazionali, correggendo il metodo
di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale sulla base degli indicatori di deprivazione. L’autonomia differenziata in
ambito sanitario rischia di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.