II nuovo governo è nelle mani di Giuseppe Conte. Questa mattina alle 9.30 il presidente della Repubblica lo ha convocato al Quirinale per conferirgli l’incarico di formare l’esecutivo con il Pd. II premier (ex gialloverde) accetterà con riserva, come sempre accade. «C’è un accordo politico con il Pd affinché Giuseppe Conte possa ricevere di nuovo l’incarico e provare a formare un governo di lungo termine», ha annunciato ieri sera Luigi Di Maio, il capo dei 5 Stelle, uscendo per ultimo dalla Sala della Vetrata. E’ la conferma di ciò che aveva già detto il segretario del Pd, Nicola Zingaretti: «Abbiamo riferito a Mattarella di avere accettato la proposta del M5S sul nome del premier». Ma è ancora lite sui vicepremier e sul ruolo di Luigi Di Maio, mentre Beppe Grillo attacca: «I ministri devono essere tecnici, non politici». «È veramente fantastico… C’è un partito che perde sistematicamente tutte le elezioni degli ultimi anni e adesso si ritrova con premier e vicepremier». Matteo Salvini è appena uscito dal Quirinale, si beve un bianco con i suoi capigruppo e parla del «bispremier»: «Beh, dire che Giuseppe Conte è organico al Pd è dire poco. Ed è questo l’incredibile. Se il Pd strappa anche il vicepremier, è un filotto mai visto: hanno tutto dopo aver perso tutte le elezioni. Con un governo che grida vendetta persino in confronto a quello di Monti. Capisco bene che i dem siano preoccupati dal voto su Rousseau…». Forza Italia e Fratelli d’Italia guardano al calo di consensi del ministro dell’Interno come un’occasione per ricostruire lo schieramento.

Il Pd (quasi) unito alla meta. Nicola Zingaretti come Lady Gaga. «È nata una stella», scherzano due fedelissimi al termine della standing ovation che chiude la direzione Pd chiamata a ratificare l’ok al nuovo governo. Tutti in piedi ad acclamare il segretario, a spellarsi le mani: tutti, tranne Maria Elena Boschi e Matteo Orfini, gli unici rimasti seduti nelle retrovie, in silenzio. Istantanea del dramma che sta vivendo la “madonna” di Laterina: l’inquilino del Nazareno ha chiesto a Renzi di indicargli una donna per la squadra giallo-rossa, ma Di Maio su di lei ha posto il veto e il senatore di Firenze non sa come uscirne. Qualsiasi alternativa suonerebbe come uno sgarbo a “Meb”. Perciò ha deciso di alzare la posta, reclamando tre ministeri non uno, così da mascherare l’offesa. Carlo Calenda intanto lascia il Partito. «Me ne vado, come avevo detto, perché penso che questa alleanza con i 5 Stelle rappresenti un tradimento dei valori del Partito democratico». Due telefonate, una a Nicola Zingaretti, l’altra a Paolo Gentiloni, per preannunciare il suo addio al Pd, e poi, terminata la direzione, Calenda fa diffondere il testo di una lettera aperta, indirizzata appunto al segretario e al presidente dem, in cui spiega i motivi che lo hanno convinto allo strappo. Chi lo seguirà in questa avventura? «Tutti quelli di “Siamo europei” e poi vedremo di allargare la platea». Al Nazareno dicono che Matteo Richetti, l’unico che non ha votato in direzione a favore della relazione di Zingaretti, sarà della partita.

Il programma del governo giallo-verde. Più flessibilità da chiedere alla nuova commissione europea per «rafforzare la coesione sociale» con un piano di investimenti pubblici, lo stop agli aumenti Iva e il taglio del cuneo fiscale. Ma anche la revisione delle concessioni autostradali, una nuova legge sul conflitto di interessi, la riforma del Csm, la web tax, l’acqua pubblica e l’autonomia differenziata temperata da un fondo di perequazione. Una revisione dei decreti sicurezza per andare incontro alle osservazioni arrivate dal Quirinale. Il taglio dei parlamentari «nel primo calendario utile della Camera». Ma con la revisione della legge elettorale per «garantire il pluralismo politico e territoriale». L’accordo sulle linee programmatiche fra M5S e Pd è stato chiuso ieri in un documento da consegnare a Giuseppe Conte nella sua nuova veste di presidente del consiglio incaricato. Nell’ultima versione il testo è snello, due pagine. E non è un «contratto», come le 58 pagine vergate da Lega e Cinque Stelle, perché toccherà a Conte «il compito di individuare più approfonditamente le linee programmatiche». A Via XX settembre potrebbe sedere un tecnico di alto profilo gradito anche al Quirinale, come spesso avvenuto negli ultimi anni: avanza in questo senso l’ipotesi di Salvatore Rossi, ex direttore generale di Bankitalia.