Antonio Troise

Almeno l’incertezza è finita. La vittoria a valanga di Boris Johnson mette un punto fermo sul futuro dell’Europa: la Brexit si farà, non ci saranno più cedimenti. Dal 31 gennaio del 2020 l’Inghilterra sarà fuori dall’Ue. Poi, subito dopo, partirà un lungo negoziato per arrivare ad un accordo di cooperazione e di commercio: intesa necessaria per evitare le lunghe fila alla frontiera o per strappare qualche concessione importante sul fronte degli scambi internazionali. Un lavoro certosino, che porteranno avanti diplomatici e sherpa ma che, nella sostanza, non cambia di una virgola la sostanza del divorzio. Brexit is Brexit, l’Inghilterra esce dalla grande famiglia europea e non avrà alcun posto nella cabina di comando di Bruxelles.

E ora, che cosa succederà? Fino a qualche anno fa, subito dopo il referendum che ha di fatto sancito il distacco degli inglesi dai fratelli europei, erano molti a pronosticare scenari da tragedia, con un’Europa destinata a crollare dopo le picconate della gelida Albione. La buona notizia è che la sindrome della catastrofe sembra essere superata. I mercati finanziari hanno salutato la vittoria di Johnson con un balzo in avanti della sterlina e, in generale, il temuto terremoto economico non c’è stato. Questo non significa, ovviamente, che la Brexit non avrà effetti. Anzi. Restano sul tavolo tutti i problemi irrisolti alla vigilia del voto, dalla questione irlandese al referendum per l’indipendenza della Scozia, dalla riforma del servizio sanitario all’emergenza occupazione in alcune aree del Paese sostenute, fino ad ora, dai fondi europei. Risorse che dalla fine di gennaio verranno meno. Senza contare i 40 miliardi di euro che Londra dovrà pagare a Bruxelles per saldare gli impegni assunti in precedenza.

Ma le conseguenze della Brexit non si fermano qui. Tanto per cominciare, la separazione metterà fine alla libera circolazione con l’Europa e Johnson ha già fatto sapere che metterà in auto una politica dell’immigrazione che favorirà l’ingresso di lavoratori qualificati, rispetto a quelli con professionalità generiche. In questo caso bisognerà avere un contratto di lavoro in tasca. Anche i turisti, per arrivare in Inghilterra, dovranno munirsi di passaporto: non sarà più sufficiente la carta di identità. Dovrebbero invece essere garantiti i diritti acquisiti dai cittadini europei (fra questi 700mila italiani) che già vivono e lavorano nel Regno Unito. Resta tutto da costruire, invece, il capitolo dei commerci internazionali e quindi dei probabili effetti negativi sulla crescita del vecchio Continente. Ma, prima ancora di affrontare i nodi dell’economia l’Unione Europea dovrà ritrovare sé stessa, anche senza i sudditi di sua Maestà, cercando magari di trasformare la Brexit in una vera e propria opportunità per rilanciare la sua Unione ed abbattere gli steccati dei sovranisti. Ci riuscirà?