Alessandro Corti
Torna l’incubo spread. Avevamo quasi rimosso questa parolina dopo la lunga estate del 2011, quando l’Italia si trovò sull’orlo del default. Questa volta, ovviamente, la situazione è diversa. La recessione non c’è più, la crisi dei mutui subprime è solo un lontano ricordo, l’economia ha ripreso a marciare. Ma non si può sottovalutare quello che è avvenuto ieri sui mercati. E’ vero che, nella bozza riveduta e corretta del contratto di governo Lega-M5S, fatta circolare ieri, è sparito d’incanto ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’Unione Europea. Ed è stato cancellato con un colpo di spugna anche l’ipotesi di congelare nelle casse della Bce qualcosa come 250 miliardi di debito pubblico. Ma il danno era ormai fatto: la Borsa ha perso oltre il 2% mentre il differenziale fra i titoli italiani e quelli tedeschi ha toccato 150 punti. E, paradossalmente, proprio la frettolosa retromarcia dei due azionisti di maggioranza del governo ha reso ancora più evidente l’incertezza che continua a regnare sovrana sul fronte della politica.
Ma c’è un altro dato sul quale vale la pensa riflettere. Con il debito pubblico monstre che ci troviamo sul groppome, un incremento di mezzo punto dei tassi di interesse (più o meno quello che è avvenuto nelle ultime settimane) potrebbe costarci, in tre anni, circa 10 miliardi di interessi in più. Se a questo aggiungiamo che nel 2019 dovrebbe gradualmente diminuire il Quantitative Easing, vale a dire il massiccio acquisto di titoli pubblici da parte della Bce con prezzi “calmierati”, è ovvio che le tensioni sui tassi potrebbero tornare a farsi sentire. Con un’inevitabile conseguenza: il prezzo che ogni anno l’Italia versa per finanziare il debito potrebbe diventare ancora più salato, sottraendo all’erario risorse che avrebbero potuto essere impiegate meglio, e con più vantaggio, sul fronte dello sviluppo e del welfare.
La verità è che, al di là dei colori politici del nuovo governo, per l’Italia è davvero difficile dribblare l’Europa e fare finta che le regole non esistono. Il problema, infatti, non è solo (o, non è tanto) nelle regole di Maastricht. Prima ancora degli euroburocrati, il nuovo governo dovrà convincere i mercati sulla solidità del suo programma e, soprattutto, della sua sostenibilità economica e finanziaria. L’esatto contrario di quello che sta avvenendo in questi giorni, dove alla voce “coperture” si trovano più pagine bianche che impegni concreti. E dove si continua a parlare di misure finanziate in deficit. Un vero e proprio azzardo per un Paese che, quotidianamente, deve convincere gli operatori finanziari a scommettere sul suo futuro finanziando il debito. La posta in palio non è solo il futuro del prossimo governo ma, soprattutto, il risparmio e la ricchezza degli italiani. Non si può scherzare con il fuoco.
Fonte l’Arena