In tanti sono rimasti delusi quando hanno visto la lista dei ministri del nuovo governo Draghi. In particolare per la conferma di Roberto Speranza a ministro della Salute. Atlanticoquotidiano.it ha offerto un interessante fondo, forse un po’ azzardato, per spiegare i motivi politici e forse ideologici di questa conferma.
Davide Rossi parte dalla scarna carriera politica del ministro. Da assessore all’urbanistica del Comune di Potenza a capogruppo del Pd alla Camera quando era segretario Bersani, ma chi se lo ricordava? Ancora oggi non si riesce a comprendere come ad un partito inesistente nel Paese e minuscolo in Parlamento quale è LeUsia stato assegnato un posto di tale importanza è a dir poco strano. Incomprensibile, poi, che sia stato addirittura confermato nel Governo Draghi.
Almeno nel governo Conte 1, ministro della salute era Giulia Grillo, di 5stelle l’allora partito più votato d’Italia, un medico, che si è sempre occupata di tematiche sanitarie e appunto rappresentava, in quel dicastero strategico.
Perfino l’autorevole giornale tedesco Der Spiegel inserisce Speranza, assieme a Conte, in un dossier nel quale denuncia le malefatte, le omissioni e gli insabbiamenti nell’emergenza coronavirus.
Tuttavia l’avevano capito tutti in Italia che il ministro era a dir poco inadeguato. «Niente aggiornamento del piano pandemico, nessun potenziamento dei posti letto ospedalieri, protocollo sanitario anti-Covid che non contempla, in modo letale per tanti pazienti, le fondamentali cure domiciliari. È stato capace solo di chiudere tutto e continua tutt’ora imperterrito. Ecco, sul chiudere tutto e sulle conseguenze sociali ed economiche di tali misure, possiamo trovare qualche solida motivazione della sua nomina alla Salute». (Davide Rossi, “Mistero Speranza, ministro del Lockdown non per caso: dietro di lui un mondo progressista che sogna la “transizione”, 24.3.21, atlanticoquotidiano.it)
A questo punto Rossi si interroga sul perchè Speranza è stato confermato. E’ molto strano che uno come Draghi abbia accettato la sua nomina al ministero più importante. Sarà stato Mattarella a volere la conferma? No. La principale motivazione è « che Speranza sia stato messo lì esattamente per fare quello che ha fatto. Perché proprio lui? Abbiamo già visto che viene da una formazione politica numericamente irrilevante, non ha di suo un carisma o una forte personalità, non si è mai occupato di sanità in vita sua. Insomma, apparentemente non c’è una ragione logica per la quale sia stato nominato in quel ruolo e ne sia stato confermato dopo la rovinosa gestione dell’emergenza».
Intanto sappiamo che hanno certificato che l’Italia è il Paese al mondo con il più alto numero di morti per Covid per 100.000 abitanti. Un disastro, al quale sarebbe dovuta conseguire una cacciata con ignominia, ed invece ha avuto il premio e sta ancora lì a darci lezioncine in tv.
Rossi pazientemente ritorna al mondo politico di Speranza. E anche noi dobbiamo seguirlo se vogliamo capire le motivazioni politiche di certe scelte. Il nostro ministro della salute, «Viene dal Pd, ma soprattutto dal sistema di potere di Massimo D’Alema (e Bersani). D’Alema, da tempo fuori dal Parlamento e dal Pd, esercita un’influenza notevole sui governi di cui fa parte la sinistra (cioè, in Italia quasi tutti). Questo potere lo gestisce da presidente della Fondazione ItalianiEuropei, un think tank diventato molto solido e importante all’interno della galassia dei “pensatoi” del mondo progressista europeo. Roberto Speranza è membro del comitato di indirizzo della Fondazione ItalianiEuropei. Addirittura, per diversi anni, D’Alema è stato presidente della Foundation for European Progressive Studies, cioè la fondazione che riunisce tutti i più importanti think tank progressisti europei».
In questo mondo politico progressista il lockdown, «non è solo proposto come l’unico rimedio al virus ma anche come una soluzione moralmente “giusta”. Cioè, l’osservanza cieca delle misure restrittive è segno distintivo di civismo, di amore per gli altri, di superiorità morale (vecchio difetto della sinistra di tutto il mondo). Chi esprime dubbi o dissenso verso le misure liberticide è un incivile, un parvenu e, in fin dei conti, un bieco fascista. Da questo punto di vista, Speranza in Italia ha portato avanti questa impostazione con coerenza e determinazione».
La fondazione più importante e più influente di questa galassia europea è la britannica Fabian Society, nella quale D’Alema è di casa. «Il fabianesimo, – spiega Rossi – difatti, fin dalla sua fondazione nel 1884, crede nella graduale evoluzione della società, tramite riforme che portino gradualmente appunto al socialismo, a differenza del marxismo che predica un cambiamento rivoluzionario. Ma sempre al socialismo, al collettivismo essa mira. La Fabian è tendenzialmente contraria alla proprietà privata, in particolar modo quella dei piccoli proprietari e piccoli imprenditori».
Peraltro uno dei tanti fabiani illustri del passato è quel George Orwell, autore di “1984”, il romanzo su di un futuro distopico dell’umanità mai così vicino alla realtà come oggi.
A questo punto per Rossi è interessante leggere il giornale che fa riferimento alla Fabian Society, il New Statesman. Fa riferimento a qualche abuso abuso dei governi sulla segregazione o alle conseguenze negative della stessa, però il messaggio di fondo che emerge secondo Rossi, è il seguente: «ma siamo sicuri che prima si stava così bene? Che il ritorno alla normalità e al divertimento di massa sia un fatto auspicabile? Dopotutto, i cittadini hanno dato il meglio di sé durante la pandemia mentre prima stavamo affossando il pianeta con l’inquinamento e il cambiamento climatico… ora invece anche il lavoratore meno qualificato avrà diritto all’accesso alla tecnologia e potrà pretendere di recarsi in ufficio solo alcuni giorni a settimana lavorando da casa i giorni restanti».
Intanto leggendo gli interventi degli studiosi vicini alla Fabian, pare che la loro ricetta
del dopo pandemia sia sintetizzabile in più debito e più tasse.
Ritornando in Italia, Rossi fa presente che se Speranza è ammanicato al laburismo anglosassone, c’è il nostro presidente Draghi che è il massimo sostenitore del debito
(quello buono, si intende). E qui Rossi ricorda quando ha salvato l’euro dal giusto naufragio. Il giornalista fa delle valutazioni economiche, che io non sono in grado di poter misurare, essendo inesperto in economia, sul percorso economico in atto del governo Draghi, sul debito pubblico, sugli scostamenti di bilancio. Prima o poi «Il conto di tutto ciò verrà presto presentato agli italiani e Draghi lo sa benissimo – scrive Rossi – Non dice una parola sull’unica vera soluzione di questo problema: la crescita».
Anzi, secondo Rossi, il presidente del Consiglio, «continua a promettere ulteriori chiusure delle imprese se non faremo i bravi. D’altra parte, glielo impone “l’evidenza scientifica” […]». Insieme a Speranza è un convinto chiusurista. Intanto, «Non ci dice che l’unico modo di salvare il Paese è tornare a vivere e a fare libera economia».
Peraltro oggi su lanuovabq.it, Stefano Magni, critica aspramente la politica dei lockdown. «La domanda sull’efficacia del lockdown pare non porsela proprio nessuno. Eppure un anno di esperienza in tutti i Paesi industrializzati del mondo parrebbe suggerire che non vi sia troppa differenza fra quegli Stati che hanno chiuso le loro popolazioni in casa e quelle che le hanno lasciate libere. Lo suggerisce anche uno studio comparato pubblicato a gennaio sullo European Journal of Clinical Investigation, totalmente ignorato dai nostri decisori». (Dogmi laici. Un’altra Pasqua da reclusi. Ma non ci sono prove che il lockdown salvi vite)
In conclusione, seguendo il giornalista di Atlantico, Draghi «persegue la politica assistenzialista del reddito di cittadinanza, così da far dipendere sempre più i cittadini dallo Stato e non dal proprio lavoro. Vuole la transizione ecologica e tecnologica per “salvare il clima” (Greta docet) ed affossare gli imprenditori “che inquinano”. Dalle sue prime mosse pare gradire – continua Rossi – il controllo dello Stato sulle vite dei cittadini/sudditi. Sta minando alle fondamenta la proprietà privata con la proroga del blocco degli sfratti, esproprio proletario da gauche caviar, tutto proprio come un bravo fabiano. Sì perché Draghi è un liberal, non un liberale. Lui si definisce socialista liberale, che è un ossimoro ma che lo riconduce dritto alla tradizione del fabiano più importante d’Italia: Carlo Rosselli».
DOMENICO BONVEGNA
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