Antonio Troise
E’ stato il cavallo di battaglia della stagione renziana. Anche per questo, il “jobs act” rischia di pagare un prezzo ancora più alto. Non a caso, il primo decreto del governo giallo-verde, ha preso di mira proprio la riforma del lavoro targata Pd. Uno “smantellamento”, come lo ha ribattezzato ieri il superministro del Welfare e dello Sviluppo, Luigi Di Maio, che paradossalmente viene avviato proprio nello stesso giorno in cui l’Istat certifica il calo più vistoso del tasso di disoccupazione da almeno sei anni, inchiodato sul 10,7%. Quanto basta per spingere l’ex premier, Matteo Renzi, a parlare di “miracolo” e all’attuale vicepremier, Di Maio, di ribattere a muso duro che la ripresa dell’occupazione è solo frutto di un miraggio. L’aumento, visto dal leader dei Cinquestelle, è infatti più il frutto dell’impennata dei contratti precari che di quelli a tempo indeterminato. Un’arma in più, insomma, per riportare al centro del dibattito politico il piatto forte del “decreto dignità”, la lotta senza mezzi termini contro il precariato.
Così, nell’ultima versione del provvedimento, vengono aggiunti alcuni punti chiave: la riduzione da 36 a 24 mesi dei contratti a termini con casuale (senza, la durata massima viene ridotta a un anno) e l’aumento del 50% dell’indennizzo per chi è licenziato senza giusta causa. Due bordate micidiali a quell’iniezione di flessibilità sul mercato del lavoro fortemente voluta dal precedente esecutivo. Nel provvedimento, poi, c’è anche una vera e propria stangata contro le imprese che decidono di lasciare l’Italia magari dopo aver usufruito dei contributi pubblici. Infine, il pacchetto fiscale, con gli interventi “light” su redditometro e spesometro. Accompagnati dall’ennesima stretta sulla pubblicità dei giochi.
Al di là delle polemiche politiche, è presto per fare una valutazione sugli effetti che il “decreto dignità” potrà avere sul mercato del lavoro e, più in generale, sull’economia. Se non altro perché le variabili da tenere presente non sono tutte italiane.
Ma per creare nuovo lavoro e rimettere in moto la macchina dell’economia serve molto di più di un decreto, sia pure di “dignità”. Tutto dipenderà dalle scelte della prossima legge di bilancio e, soprattutto, dai margini di manovra che il nuovo esecutivo troverà nel sentiero sempre stretto dei conti pubblici. Quello che più conta, comunque, è mantenere la rotta e non lasciarsi prendere dalla smania di distruggere tutto quello lasciato in eredità dal precedente esecutivo. Magari, solo per marcare una differenza “politica” e perdendo di vista gli interessi generali del Paese.
fonte: L’Arena