Antonio Troise
E’ il governo dei due presidenti, l’anima “tecnica” ispirata da Super-Mario Draghi e quella “politica” suggerita dalla voce sapiente di Sergio Mattarella. Una formula inedita. Lontana dall’esecutivo tutto tecnico di Monti. Ma altrettanto distante da quello, fifty fifty, guidato da Ciampi negli anni Novanta. Un governo che, non a caso, fino all’ultimo minuto è stato avvolto da una fitta coltre di mistero. Si racconta che i ministri abbiano saputo della nomina in diretta tv, quando l’ex banchiere di Francoforte si è presentato davanti alle telecamere dopo aver sciolto la riserva. Un modo, insomma, per segnare la distanza dai partiti ma, nello stesso tempo, strizzando l’occhio alla politica. I dicasteri guidati da tecnici, infatti, sono solo 8 su 23.
Sarebbe, però, un grave errore misurare il perimetro del governo di Draghi solo con le leggi della matematica. Chiosando una frase del grande vecchio della Finanza italiana, Enrico Cuccia, i ministeri (come le azioni) non si contano ma si pesano. E, da questo punto di vista, il piatto della bilancia pende fortemente dalla parte dei tecnici. Dall’Economia alle Infrastrutture fino al nuovo dicastero della Transizione Ecologica, tutti i ministeri con il ricco portafoglio del “recovery fund” sono finiti nelle mani di uomini molto vicini a super-Mario. Una strategia studiata a tavolino per blindare la spesa prossima ventura, mettere in sicurezza i conti pubblici e lanciare un segnale preciso a Bruxelles e ai mercati. Così come la conferma del ministro della Salute, Roberto Speranza: un altro modo per evitare di fare salti nel buio nella fase più delicata dell’epidemia, a pochi passi dalla campagna di vaccinazione di massa. Stesso discorso per la Difesa e gli Interni, due caselle altrettante delicate e sulle quali si è fatta sicuramente sentire la moral suasion del Quirinale. Per la restante parte delle poltrone, Draghi ha applicato il più puntuale “manuale Cencelli”, attribuendo quattro posti ai Cinquestelle, tre ciascuno a Pd, Lega e Forza Italia, e uno a testa per Leu e Italia Viva. Anche in questo caso le conferme più importanti sono quelle per i due azionisti di maggioranza del precedente esecutivo: Luigi Di Maio agli Esteri e Dario Franceschini alla Cultura.
Ora, ovviamente, comincia il compito più difficile: mostrare con i fatti la capacità di governare e di dare risposte concrete sui due dossier che da lunedì saranno sul tavolo di Draghi: l’epidemia e il recovery fund. C’è sicuramente da avere fiducia nei confronti di un uomo che non solo è stato impegnato in posizioni importanti, dalla Banca d’Italia alla Bce, ma ha anche dalla sua parte risultati storici, a cominciare dalla battaglia per salvare la moneta unica. Ora lo aspetta una prova non meno facile: fare quelle riforme necessarie per far ripartire il Paese e dare risposte concrete alle imprese e ai cittadini. E mostrare che tecnici e politici, per una volta tanto, possono parlare la stessa lingua in nome e per conto dell’interesse collettivo. Vedremo se sarà così.