Ce l’ha messa tutta la premier, Giorgia Meloni, per smorzare i toni, attenuare gli allarmi, spiegare che nessuno ha mai detto che i cittadini europei sono in pericolo e che bisognava indossare l’elmetto. Ma, giorno dopo giorno, anzi ora dopo ora, l’escalation della tensione sembra inarrestabile. E il drammatico attentato di ieri a Mosca, con decine di morti e un copione che ricorda quello del Bataclan a Parigi, non ha fatto altro che gettare nuova benzina sul fuoco della guerra, deflagrando con tutta la sua violenza a Bruxelles, dove si era appena concluso il vertice dei Capi di Stato.
Per più di un anno abbiamo cullato l’idea di poter circoscrivereil conflitto aperto nel cuore dell’Europa, nel perimetro dell’Ucraina, limitandoci alle sanzioni e agli aiuti militari per Kiev. Era solo un’illusione. Perfino le parole, negli ultimi mesi, sono cambiate. La guerra è entrata nel dizionario dei leader, con una intensità e una frequenza impensabile appena pochi mesi fa. Con riferimenti, neanche tanto velati, al rischio di un conflitto nucleare.Basta rileggere i discorsi di Macron. O quelli della Von der Leyen, la presidente della Commissione europea, che ha fatto balenare la possibilità di un conflitto. Mentre il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, pur essendo contrario all’invio di soldati in Ucraina, non ha esitato ad usare la massima latina “si vis pacem, para bellum” per sintetizzare il momento difficile che vive l’Europa, con una guerra in casa e con un’altra praticamente alle porte, fra il Mar Rosso e il Medio Oriente. Per non parlare dei 50 conflitti che continuano a insanguinare lo scenario geopolitico.
C’è una novità che non possiamo più ignorare: la pace, che dalla seconda guerra mondiale, l’Europa aveva dato quasi per scontata, se non altro all’interno dei suoi confini, non è più tale. L’errore è stato, forse, proprio quello di considerare il conflitto fra i Paesi del “vecchio continente” un capitolo archiviato dopo la seconda guerra mondiale. I rapidi mutamenti della globalizzazione, l’esplosione delle crisi e i movimenti delle grandi potenze sullo scacchiere internazionale hanno fatto di nuovo precipitare il pianeta in una spirale di violenza che Papa Francesco ha significativamente chiamato “la guerra mondiale a pezzi”. Pezzi che, negli ultimi mesi, si stanno pericolosamente mettendo insieme, anche nel linguaggio della politica e della diplomazia internazionale.
E’ chiaro che, di fronte alla rapidità e alla imprevedibilità degli eventi, l’Europa non può più voltarsi dall’altra parte, chiudersi nel suo recinto. Deve, invece, dimostrare una volta di più di essere in grado di dare risposte vere ai cittadini, garantendo uno dei valori più importanti per una comunità: quello della pace. Per questo il nodo della difesa comune europea non può essere, ancora una volta, sottoposto alle regole del bilancio o agli interessi di questo o quel Paese. Nel periodo del Covid l’Unione Europea ha dimostrato, forse per la prima volta da molti anni a questa parte, di saper mettere in campo risorse eccezionali di fronte ad eventi straordinari. Ora bisogna fare lo stesso per dare una risposta alla domanda di sicurezza dei cittadini. Bisogna, insomma, passare al più presto dalle parole ai fatti utilizzando lo stesso linguaggio. Non è il momento delle divisioni.