I post-1996 non hanno paracadute. Sono Senza Quota e senza integrazione al minimo (riforma Dini per i contributivi puri). Bene che vada ricevono il 60% dello stipendio contro l’80% dei loro padri e nonni “retributivi”. Se la speranza di vita si allunga, l’età della pensione si allontana: ma se si accorcia, rimane la stessa (riforma Sacconi).

Se poi il loro assegno pensionistico è basso perché hanno versato pochi contributi, dovranno lavorare più anni (riforma Fornero). Nello specifico, se la pensione non arriva a 2,8 volte l’assegno sociale (1.289 euro, ad oggi) i post-1996 non potranno mai andare in pensione anticipata, cioè tre anni prima (64 anni, ad oggi). Se la pensione non arriva a 1,5 volte l’assegno sociale (690 euro, ad oggi), i post-1996 non potranno andare neanche in pensione di vecchiaia, ma dovranno aspettare la “vecchiaia contributiva” e uscire quattro anni dopo. L’età di uscita salirebbe, in questi due casi, di tre o quattro anni: oscillando tra 71 e quasi 77 anni.

Una stortura, legata al principio della riforma Monti-Fornero dell’assegno «dignitoso»: dunque chi guadagna di più lavora meno e chi è povero rimane al palo.