Di Antonella Catrambone
“Un trattato commerciale non dovrebbe minare i diritti, la salubrità dell’aria che respiriamo e del cibo che mangiamo, i nostri beni comuni e i servizi pubblici per favorire il profitto. EPPURE STA PER SUCCEDERE. E tutto questo SENZA la necessaria trasparenza e partecipazione. Ti sembra giusto?” Questo è uno degli appelli che Greenpeace Italia ha lanciato proprio in queste ore per fermare il TTIP, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership – TTIP). L’iniziativa, promossa dall’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista, consiste nel presentare una petizione con la quale si richiede ai Parlamentari europei di bloccare il negoziato su cui tra poche settimane il Parlamento EU dovrà pronunciarsi. Il TTIP è un trattato di libero scambio che l’Unione Europea è chiamata a concludere con gli Stati Uniti e prevede l’abbattimento di tutte le barriere non tariffarie al commercio, normative e regolamenti a protezione di beni comuni e servizi pubblici, che le grandi compagnie multinazionali ambiscono a monetizzare. In cambio di un abbassamento degli standard qualitativi, nonostante le promesse dei promotori, gli studi più ottimistici prevedono, nel caso improbabile in cui tutte le condizioni fossero soddisfatte, un aumento del PIL europeo appena dello 0.5%, a partire dal 2027. Quelli meno ottimistici, una perdita di posti di lavoro in UE di minimo 600 mila unità. Tale trattativa si è svolta a porte chiuse, Parlamenti nazionali e cittadini non sono adeguatamente informati su normative che potrebbero invece incidere sui loro diritti. Il Consiglio per la Cooperazione Regolativa (RCC) è l’organismo chiamato a fissare gli standard transatlantici di libero scambio, scavalcando di fatto i Parlamenti e sottraendo al controllo democratico decisioni fondamentali per i cittadini.
L’Investor-State Dispute Settlement (ISDS) è l’organo di arbitrato internazionale, costituito da arbitri scelti con metodi extragiudiziali, chiamato a decidere sulle controversie fra investitori privati e Paesi aderenti: le multinazionali potrebbero accusare gli Stati di intralciare il libero mercato e i cittadini rischierebbero di dover pagare di tasca propria!
Sono 4 i motivi per dire no al TTIP:
- Sicurezza alimentare: sono a rischio le norme europee su OGM, sull’uso di pesticidi ed etichettature di prodotti;
- Agricoltura: aprire le porte ai prodotti dell’agricoltura industriale americana vorrebbe dire mettere in ginocchio agricoltura sostenibile e piccoli coltivatori;
- Energia e clima: gli standard previsti dalla normativa europea nel settore energetico sono di intralcio al libero mercato. Potrebbero essere abbattuti i limiti sulle tecniche di fracking o facilitare l’esportazione di petrolio da sabbie bituminose;
- Chimica: negli stati Uniti il principio di precauzione non vale perché le sostanze chimiche sono considerate sicure fino a prova contraria, esattamente l’opposto di quanto accade in Europa.
Per aderire alla iniziativa collegarsi al seguente link: http://bit.ly/1yqmqza