Tante liti, poche leggi. Sembra questa la fotografia del governo Conte, scosso dai continui conflitti interni. La conseguenza? Danni di immagine ma anche sulla produttività, come raccontano i dati di questi primi sei mesi al ralenty dell’esecutivo entrato in carica il primo giugno scorso. Meno leggi messe in cantiere rispetto ai tre predecessori, ma soprattutto meno leggi-bandiera politicamente qualificanti. Poche le promesse mantenute rispetto al famoso contratto, qualcuna clamorosamente disattesa, soprattutto quelle lanciate in campagna elettorale. Il Consiglio dei ministri Lega-5Stelle si è riunito finora 29 volte e ha approvato dieci decreti e otto disegni di legge (escluse le ratifiche di trattati internazionali e i decreti legislativi), piazzandosi così all’ultimo posto per queste due tipologie di provvedimenti (le più importanti). Sul podio (in base agli elenchi sul sito dell’Osservatorio Openpolis) c’è il governo Renzi, con 18 decreti nei suoi primi sei mesi, seguito da Letta (14) e da Gentiloni (12). Al momento, infatti, basta parlare con qualsiasi parlamentare della maggioranza, in particolare i leghisti, per cogliere il vero stato d’animo che la coalizione gialloverde sta vivendo. I sei mesi del governo Conte, infatti, al di là di un bilancio consuntivo piuttosto modesto, è già appesantito da un bilancio preventivo a tinte foschissime. Un esecutivo che appare senza futuro, con un programma inaridito. Nel quale le spinte verso le elezioni anticipate entro il prossimo anno stanno diventando irreprimibili. Un orizzonte appannato proprio da questi 180 giorni passati a Palazzo Chigi. Nei quali hanno preso il sopravvento due dati: l’inversione dei rapporti di forza tra i due partiti, con il Carroccio leader in tutti i sondaggi e una capacità superiore di incidere sulla coalizione. E la difficoltà di imporre sul piano economico molte delle promesse elettorali.