Davvero impietoso il destino dell’apprendista stregone. Quando, dopo intenso lavoro, si illude che la pozione miracolosa sia finalmente approntata, gli altri scoprono subito che si tratta poco più che una mistura insulsa, priva di qualunque effetto, se non dannosa e dunque pericolosa.
Vi ricordate i famigerati tagli lineari di cui veniva accusato Tremonti ? Eccoli là, puntualmente rispuntano anche col governo delle pretese riforme e, sempre, prevalentemente a danno del sud.
Tra le perle infiorate per “riformare” la pubblica amministrazione, spicca di certo quella della neanche malcelata abolizione delle camere di commercio.
Pletore di tecnici e super esperti illuminati hanno preso di mira uno dei pochi istituti pubblici che, bene o male, fin qui ha funzionato efficacemente in modo, questo si, abbastanza lineare in tutto il Paese.
Solo, che non si sono dati pensiero di guardare la Costituzione (che, unica in Europa, è stata proprio recentemente modificata con la previsione obbligatoria del raggiungimento di equilibrio di bilancio per gli enti pubblici) e sono arrivati a porre in essere una condizione di disequilibrio finanziario strutturale per gli Enti camerali.
Non soltanto hanno previsto, a regime fra tre anni, l’abolizione del diritto camerale versato dalle imprese iscritte nell’omologo registro tenuto dalle camere di commercio – che costituisce da solo, nella totalità dell’intero sistema camerale italiano il 75/80 % delle entrate di bilancio – senza darsi pena di indicare sostitutivamente quale fonte avrebbe sopperito a tale carenza (e segnando surrettiziamente, in tal modo, la fine per asfissia delle camere di commercio) ma, ancor più, hanno decretato ina progressiva riduzione lineare dello stesso diritto annuale camerale, senza valutare le caratteristiche e modalità della diffusione sul territorio delle imprese, creando le premesse di un progressivo default degli enti camerali a partire da quelli meridionali.
Infatti, dal momento che il diritto annuale viene corrisposto in misura differente a seconda che si tratti di imprese individuali o società fra i soggetti iscritti nel registro e tale differenza comporta una maggiore entrata da parte delle società, nella realtà ne diviene che al centro nord insiste una prevalenza di società, che supera, in molti casi, la metà del numero dei soggetti iscritti, mentre al centro sud la situazione è esattamente capovolta.
In breve, la misura adottata, ovvero un taglio lineare per tutti indistintamente, aggraverà pesantemente la situazione finanziaria degli Enti camerali meridionali, rendendo di fatto impossibile attuare quei programmi di sostegno – seppure forzatamente limitati – alle imprese locali, che tipicamente essi svolgono.
Un colpo alla cieca inferto rozzamente, senza curarsi di quali effettive conseguenze potevano arrecarsi alle imprese meridionali, già sottoposte a difficoltà di ogni genere. Non vengono così assicurati neppure gli interventi minimi sui quali fin qui le imprese del sud avevano potuto contare (si pensi, una per tutte, alle diversificate serie di interventi mirati allo sviluppo dei processi di internazionalizzazione).
Altro che nuova programmazione per il rilancio dei piani di sviluppo del sud!
Quali possano essere gli effetti positivi di siffatta operazione per l’economia meridionale nessuno è in grado di spiegarcelo e noi abbiamo difficoltà a comprenderlo; anche perchè, aldilà dei consueti slogan cui ci hanno abituato, nessuno si è preso la briga di tentare di spiegarlo.
Grazie a Dio, non finisce a tarallucci e vino e quei tecnici che sono ancora liberi da collusioni col potere della politica, chiamati in sede di consultazione da parte della commissione affari istituzionali del Senato in occasione del corrente esame del Ddl 1755 (riforma della pubblica amministrazione) come anche quelli dell’Economia non hanno potuto sottacere ed anzi hanno proprio messo il punto sul fatto che le norme proposte dal governo costituivano per gli Enti camerali una forzata situazione di disequilibrio strutturale finanziario, in barba alla costituzione dello Stato.
A questo punto, non resta che vedere come si comporterà il Parlamento nelle determinazioni conclusive della materia. Saprà rivendicare il ruolo che la costituzione gli assegna ed esercitare con pienezza il mandato affidatogli dagli elettori o piegherà mestamente il capo di fronte all’ennesimo diktat della richiesta del voto di fiducia?
Questa vicenda, che ha connotazioni ancora più gravi da richiamare – tentativo frettoloso ed improvvido di trasferire al M.I.S.E. Il registro delle imprese camerale, esattamente, ne più ne meno, come si trasferisce un pacco postale da un luogo ad un altro, totale silenzio sul destino delle migliaia di dipendenti camerali, che, naturalmente, vedrebbero compromesso il loro futuro di lavoro e che sono malgrado tutto dipendenti pubblici a pieno titolo, ed altro ancora, che per brevità non citiamo – è ormai tra le più plateali testimonianze di come non esista una seria stagione di riforme in questo Paese (peraltro, maldestramente concepita e, ancor più, condotta da veri e propri dilettanti allo sbaraglio) e di come quelle contrabbandate come tali acuiscano anzichenò il divario storico del Paese, continuando a creare, nel solco della migliore inveterata tradizione in proposito, presupposti di recessione economica strutturale per il meridione, che rappresentano seriamente una condanna senza appello per il diritto all’esistenza ed al lavoro di tutte le sue giovani generazioni.
(Ducezio)
Complimenti al nuovo “Ducezio” ed anche al giornale che, andando contro corrente, ospita una denuncia che è da ritenersi decisamente importante se ed in quanto mette in rilievo un ulteriore attentato alla già agonizzante economia meridionale.
Se è vero, come è vero, che Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e tutti gli altri che hanno governato l’Italia negli ultimi decenni hanno la responsabilità della recessione economica strutturale nella quale versa il Paese – sia ben chiaro, l’intero Paese … e non soltanto il Meridione -, è altrettanto vero che una buona parte di tale responsabilità va ascritta a tutta la classe dirigente del Sud (e non alla sola classe politico-amministrativa), la quale classe dirigente non ha mai voluto capire che la “questione meridionale” altro non è se non la “questione dei meridionali” e che, di conseguenza, la chiave della soluzione dei nostri problemi si trova innanzitutto nel Mezzogiorno e nei meridionali.
Ciò implica, peraltro, che la politica (a tutti i livelli) acquisisca la consapevolezza che non è più tempo di leggi speciali né di finanziamenti straordinari in favore del Sud, ma è tempo di politiche nazionali (ed europee) che tengano conto dei gravissimi problemi del Meridione d’Italia, dell’enorme divario che si è creato tra il Nord e il Sud del Paese per l’inarrestabile crescita delle disuguaglianze e della necessità di definire concretamente (e non soltanto a parole) un piano – non discontinuo, ma continuativo – di sostegno allo sviluppo meridionale finalizzato a contrastare la posizione di marginalità economica e sociale nella quale è da tempo relegata l’intera area meridionale.
Orbene, la “malcelata abolizione delle Camere di Commercio” denunciata da “Ducezio” è un’ulteriore testimonianza della miopia e della incapacità della classe politica che governa il Paese, miopia e incapacità che stanno affamando il popolo italiano, stanno portando alla disperazione il ceto medio (cioè l’unico in grado di creare posti di lavoro) e, quel che è peggio, stanno privando del futuro le giovani generazioni. Senza capire che, se i giovani dovessero uscire dal torpore che li tiene sopiti e si svegliassero, questo Paese potrebbe trovarsi a vivere una nuova stagione autoritaria che, alla luce degli attuali equilibri internazionali, di certo non lascia spazio ad ottimistiche previsioni.
Renato Sgroi