di Elena Pierotti
Quelle che sto per descrivere sono le gesta patriottiche di un uomo che, lui sì, ha contribuito in modo decisivo a rendere l’Italia intera libera dallo straniero, in vista della costituzione di uno Stato federale. Quando ciò non si realizzò, venne marginalizzato e dimenticato. Era l’uomo di punta di Cavour, come traspare dalle carte.
Giovanni Bezzi d’Aubrey, questo il suo nome. L’ho conosciuto grazie alle gesta patriottiche di una nobildonna lucchese, anche lei dimenticata, la marchesa Eleonora Bernardini, che per lui mediò con la Francia negli anni cinquanta del XIX secolo.
Fu l’uomo di fiducia di Camillo Benso, conte di Cavour, a Londra, e scrisse un memoriale importante al Re Umberto I nel 1878, prima di morire, un vero e proprio testamento politico. Ritengo questo personaggio essenziale per rivisitare i contenuti della nostra storia nazionale per una rilettura di situazioni e contenuti.
Perché non celebrare l’uomo di punta del nostro Risorgimento dunque, il piemontese trapiantato a Londra Giovanni Bezzi d’Aubrey, insigne erudito, lo scopritore del ritratto di Dante al Bargello, lo studioso e uomo politico in stretta relazione con tutta la nomenclatura europea? Bezzi d’Aubrey non rappresenta solo il nostro Paese, ma l’intero continente, le sue contraddizioni, le sue paure, di ieri come di oggi. Io ho scoperto il personaggio per caso, grazie ad una biografia di Adriano Muggia dal titolo emblematico: “Giovanni Bezzi d’Aubrey, il patriota dimenticato”. Lo storico Muggia si è servito degli appunti del generale ed uomo politico Giuseppe Ottolenghi per rinvenire le carte del nostro. Presumo che le scelte politiche del Bezzi non collimassero affatto con quanto avvenne con l’Unità nazionale. Del resto Cavour morì e Bezzi venne relegato a figura di terz’ordine, senza più ricevere le attenzioni che un simile personaggio avrebbe meritato.
Il nostro nacque a Desana (Vercelli) l’8 aprile 1796 ( nelle carte della nipote Pia Sergiusti sta scritto 1785) da una famiglia dell’alta borghesia piemontese e crebbe a Casale Monferrato, centro assolutamente attivo inuma dialogo, anche interreligioso, vivo sul piano culturale ed artistico. All’Archivio di Stato di Lucca c’è un fascicolo corposo a suo nome, donato da una nipote, la signora Pia Sergiusti, una delle figlie di Teodorina. Pia Sergiusti fu vedova di Lisandro seriasti. Quest’ultimo, che appartenne ad una nobile famiglia lucchese, presente in città sin dal 1380, giustifica la presenza delle carte del Bezzi nella cittadina toscana. Del resto lui stesso, come avrò modo di dimostrare, mantenne, come il conte di Cavour, vivi contatti con questa realtà geografica. Ecco cosa ricaviamo da alcuni appunti inseriti nel suo fascicolo personale in Archivio[1]: “Ricevette la sua prima educazione al Liceo Imperiale fondato da Napoleone I – in Casale. Sin dalla prima giovinezza dimostrava un talento svogliatissimo, ma più di tutto per la musica – egli aveva sempre il violino, la chitarra in mano. A quattordici anni era un compito violinista. Ad otto anni il padre fiero del talento del figlio lo metteva a piede sopra in tavola; teneva, incantata, la compagnia in casa. La sua famiglia era assai distinta ed a palazzo Bezzi si davano conversazioni e concerti. Ciò nondimeno egli volle avere una professione. Studiò prima medicina, poi studiò legge, allorquando scoppiò la rivoluzione nel 1821. Qui raccontare il fatto del carabiniere se sembrerà opportuno al dottore di accennarlo. Questo incidente ebbe luogo in una rapida gita che fece a casale Monferrato, prima della determinazione di fuggire in Inghilterra. La data dell’arresto a Milano da Bolza non hanno saputo dirlo quei signori- poco mi hanno aiutato”. Prosegue l’ordinatore delle sue carte in Archivio: “1821 – battaglia di Novara – accennare alla gran sua ferita nel petto, a corpo a corpo con un ufficiale austriaco – che durò sotto un ponte sino a che ambedue i combattenti feriti pare in volere, quasi privi di forza, spontaneamente si misero in riposo momentaneo, per riprincipiare la lotta. Se non che in quel momento altri combattenti piombarono sotto il ponte ed i due avversari furono strascicati via coll’impeto della guerra generale.
1822 – si ricoverò a Ginevra in casa di amici per la guarigione della ferita. Era in allora che contava una sempiterna amicizia col Sismondi.[2]
1823 – segue il già scritto della fuga in Inghilterra. Arrivato a Londra primo passo fu di presentarsi al Comitato di soccorso per gli italiani, già esistente dal 1821. Membri di questo comitato erano parecchi di distintissime aristocratiche famiglie. Tra i moltissimi esuli il Bezzi fu subito conosciuto per un uomo fuori dal comune talento che per potenza di spirito. Si trattava di guadagnare il suo pane. Si raccomandò per farsi maestro delle lingue francesi e italiane. Trovò subito appoggio e raccomandazione. Ma per lungo tempo esaurito il piccolo peculio che aveva portato con sé dal comitato svizzero e divisolo con altri compagni d’esilio, egli versò in uno stato di miseria che si avvicinava alla distruzione. Per tenersi soltanto che decentemente vestito e pagare una meschina camera nei sobborghi di Londra gli rimaneva non abbastanza per soddisfare all’indispensabile bisogno di nutrimento. Se non che per il fascino del suo temperamento amabile e paziente unito all’indefessa consacrazione al lavoro anche fra le persone di condizione assai inferiore alla sua, incontrava una simpatia che esprimeva in vari valevoli modi di soccorso. Il già scritto dell’incredibile quasi inaudita fora con la quale si diede ad imparare la lingua inglese. Il rapido passo che fece nell’introduzione nelle più nobili famiglie di Londra. Il vero amore che destò in loro, principalmente nella famiglia del ministro Lord Grey. La moglie, che Egli sposò dopo il periodo londinese, in Italia, precisò nelle carte di aver ricevuto dal marito, quando ormai erano peraltro felicemente sposati, la notizia della presenza di un figlio illegittimo avuto proprio nel periodo londinese, poi abbandonato dalla madre naturale e seguito in tutto e per tutto dal padre. La moglie sostenne che nessun torto le fu fatto, ma testo che soltanto sette anni dopo la sua unione seppe dal caro marito dell’esistenza di questo figlio. Era ciò nel momento che entrando in una buona eredità, la moglie volle che rispondesse alla chiamata di Cavour – piovuto dalle labbra di Panizzi – coi suoi molti ed onorevoli incarichi a Londra, sin ora egli aveva mantenuto il suo figlio illegittimo. La madre, tanto elegante signora che poi si rimaritò, l’aveva abbandonato, lasciando il peso sulle spalle del padre. La moglie sostenne che allora lei, senza alcun obbligo, nessuna promessa, che mai non me ne fece cenno, le fece capire che c’era abbastanza per tutti, che ciò che era suo era anche del figlio illegittimo”.
Apprendiamo dunque che la chiamata di Cavour in Piemonte, per onorare l’incarico di Parlamentare Subalpino, venne su suggerimento dello stesso Antonio Panizzi, che lo stimava e l’aveva a cuore. Sin dai primi anni d’esilio apprendiamo sempre dalle carte che il capo della polizia londinese stimava particolarmente il Bezzi. Ciò che con interessa particolarmente è il riferimento al 1853. Giovanni Bezzi d’Aubrey, in quel periodo per due legislature parlamentare subalpino, riceve un incarico ulteriore che nelle carte non viene menzionato ma che una lettera rinvenuta nelle carte della marchesa Eleonora Bernardini di Lucca lascia supporre. Nel suo fascicolo personale in archivio c’è una lettera di Lord Minto al Bezzi: “Nervi, marzo 1853. Caro signor Bezzi, in affari come questi il tempo è d’importanza perciò non ho voluto aspettare la lettera che mi promettete dalla lady Gray ma questa mane stesso per mezzo di Lord Hadson ho scritto confermando di vero cuore la testimonianza in vostro favore del Lord Londwownw e di Panizzi, testimonianza di altri più valore delle ie. Però la raccomandazione che desiderate al Conte Cavour non era necessario per voi. Io già vi congratulo perché son sicuro che i vostri voti saranno pienamente esauditi. L’amico Minto.”.Egli era già stato incaricato d’affari a Torino, il successore suo era Hudson. Minto amava assai l’Italia e fu di grandissimo aiuto alla causa dell’indipendenza sua. In quel 1853 iniziò la Guerra di Crimea in cui Cavour si inserì un anno dopo, con un corpo di spedizione sabaudo, allo scopo di far conoscere in Europa le vicende italiane al congresso di Parigi del 1856. Qui prese l’avvio il processo di unità nazionale. In verità il terreno era già stato preparato, se in data 26 maggio 1854[3]Giovanni Bezzi scriveva da Livorno alla Marchesa Bernardini di Lucca: “Madame la Marquise, je venais que ce matin une reponce de Marseille seno la Lègion étrangere pour Algeri. Ul y a souvent mais qu’an m’en fait…Bien fait recevoir pour le bateau annéè ce matin”. Questo documento è contenuto nelle carte Carafa. I Carafa di Noia sono un’importante famiglia partenopea di cui un ramo era presente in Lucca. Ciò conforta sul coinvolgimento di tutti gli Stati della penisola nelle mosse politiche del periodo. Il messaggio viene classificato dalla polizia granducale toscana come sospetto. Le frasi sono in effetti apparentemente “sconnesse”, ed il riferimento alla Legione Straniera francese affatto marginale. Considerando che la marchesa Eleonora Bernardini è stata un’amica sincera dell’ex imperatrice Giuseppina Bonaparte, prima moglie di Napoleone I e nonna dell’Imperatore napoleone III. Considerando che l’intera famiglia Bonaparte ha sempre assiduamente frequentato al marchesa, nei tempi bui così come nei tempi felici.[4] Che quest’ultima ha addirittura coperto patrioti mazziniani negli anni trenta del XIX secolo erano ricercati dalle varie polizie della Penisola, compresi all’epoca gli stessi Bonaparte, quando questi furono dei rifugiati mazziniani nel Ducato Borbonico lucchese, si evince che la Marchesa fosse tenuta in seria considerazione negli ambienti sabaudi. La marchesa non era personaggio che si potesse ignorare, nell’intero contesto nazionale. Il Principe di Metternich, e sappiamo tutti quale abile diplomatico fosse, l’aveva in grande considerazione[5] e, come appare dalle lettere rinvenute, la teneva d’occhio nelle occasioni mondane, questo sempre negli anni trenta del XIX secolo.[6] Nel 1854 la Marchesa, ormai anziana ( morirà in Lucca l’anno successivo) fu senz’altro votata ad una soluzione italiana federalista che sempre aveva inseguito, forte del particolare legame, quasi materno, con Napoleone III. Dunque il nostro non era un semplice parlamentare subalpino ma appare come un vero proprio “agente infiltrato”. La sola sua presenza londinese in Aubrey House che fu nutrita spiegherebbe la circostanza della lettera.
Aubrey House, simbolo del parlamentarismo, frequentata dagli ambienti carbonari e liberali in ambito internazionale, dove troviamo Giuseppe Mazzini, ma anche Giuseppe Garibaldi, Antonio Panizzi, Miglio, Beolchi, Gabriele Rossetti. Luogo deputato alla cultura liberale sia in ambito letterario che artistico e politico. Il nostro fu in effetti in relazione con personaggi come Samuel Coleridge ( poeta e filosofo inglese); Lord McCaulay (storico, saggista e politico whig inglese); Samuel Rogers ( poeta inglese); George Grote (storico rinomato); Landor ( rinomato letterato, suo amico personale); di Antonio Panizzi era intimissimo.[7] Giovanni Bezzi dopo la morte di Cavour venne di fatto marginalizzato, dimenticato, sapeva troppo e soprattutto non approvava la politica dell’Italia Unitaria.
Lo storico lucchese Gino Arrighi nel 1960 scrisse un breve articolo dal titolo “Un invito conciliazionista di Giovanni bezzi” pubblicato sull’ “Eusebiano”, settimanale cattolico di Vercelli.[8] Si tratta di un memoriale inedito a Umberto I che il Bezzi scrisse nel 1878, l’anno prima del suo decesso, avvenuto in data 7 febbraio 1879. Gli importanti contenuti del memoriale e le particolari condizioni in cui è stato rinvenuto già di per sé offrono molte spiegazioni. Il memoriale del patriota potrebbe a pieno titolo essere stato scritto dallo stesso Cavour, quasi una sorta di intervento dell’uomo politico dall’oltretomba. Non si tratta di assolvere nessuno, ma solo di fare chiarezza. Un uomo, il Bezzi, che avrebbe voluto alla fine della sua vita vedere una conciliazione sia religioso che politica nel suo paese, che era ben lontana dall’essere realizzata. Scrisse infatti: “sono un esule del 1821 per aver preso parte come federale alla prima infausta battaglia di Novara in quel romantico primordio della liberazione della nostra patria. Passai in Inghilterra credo un non inonorato e sterile esilio, poiché vidi ivi l’andamento del sistema di governo di quella gran Nazione che sa conciliare il diritto pubblico col privato. Il compianto Conte Cavour mi chiamò in Italia nel 1856 e nelle due legislature in che io sedei in Parlamento, mi affidò diverse incombenze particolari colo scopo di sempre più stringere le simpatie fra l’Italia ed il Governo e la Stampa Inglese, e così e prima e dopo la triste Pace di Villafranca mi fu largo della sua benevolenza, mi onorò anzi della sua intrinsichezza e mi manifestava anche alcuni dei suoi più intimi pensieri. La conciliazione della potenza ecclesiastica colla civile, era allora come tuttavia la difficoltà più irta di quante possano minacciare l’avvenire della Patria e quello di Vostra Maestà […]” . La seconda parte del Memoriale è mancante, ma questa prima parte offre spunti assai importanti per definire il quadro.
Perché il Bezzi della lettera della marchesa Bernardini è proprio il Bezzi d’Aubrey? Nel periodo della sua vita londinese il Bezzi incontrò il Duca borbonico Carlo Ludovico di Borbone Parma e i Bonaparte che qui si recavano, da mazziniani. Il Borbone Parma era infatti, come appare dalle lettere, in strettissimi rapporti con Antonio Panizzi. E sempre il Borbone Parma sosteneva i Bonaparte da rifugiati mazziniani nel suo ducato, sempre come appare nei documenti. Tommaso Sergiusti in quegli anni fu il Gonfaloniere di Carlo Ludovico. Quel Tommaso Sergiusti fece parte della famiglia che la nipote del Bezzi incontrò col suo matrimonio qualche anno dopo.
Nel 1854 Cavour voleva entrare nella Guerra di Crime. Non corteggiò solo Londra ma anche la Francia. Le incombenze particolari di cui ci parla il Bezzi nel suo Memoriale si riferiscono a queste situazioni. Cavour evidentemente aveva inviato il Bezzi a Livorno per agganciare rapporti anche con Parigi. L’ avere a cuore il Bezzi la questione Conciliazionista al termine della sua vita spiega come Egli si spese in un’opera che vide Napoleone III al centro delle trattative tra il papato e Casa Savoia. Il Bezzi, non dimentichiamolo, si era formato nel Liceo napoleonico di Casale Monferrato. Aveva seguito lui e l’intera sua famiglia le gesta non solo napoleoniche ma anche murattiane. Murat in Tolentino prese dimora, non casualmente, in Palazzo Bezzi.
Poteva aver approvato una posticcia rinuncia conciliazionista e federalista in nome di uno Stato nazionale centralista e incapace di tenere conto delle varie istanze politiche, religiose ed economiche del Paese?
E’ molto probabile, se non certo, che la parte del Memoriale andata perduta contenesse proprio questi riferimenti, per un patriota a cui un’Unità sicuramente scellerata, possiamo ben dirlo, decretò l’oblio.
[1]Archivio di stato di Lucca, Carte Giovanni Bezzi, dono professor Ezio Ricci, inventario volume II, numeri 34-46, numero 721, protocollo 1954, numero 42 ( Legato Cerù).
[2] Filosofo e letterato svizzero.
[3] Archivio di stato di Lucca, Dono Carafa, fascicolo II, Carteggi, filza numero 4, riferimento 1326.
[4] Zibaldone Lucchese, tomo I, pag. 238; Bollettino Storico Lucchese, anno IV,1932, pagg. 187-202; Archivio di Stato di Lucca, Carte Bernardini, lettera del 4 aprile 1808, lettera del 20 giugno 1809.
[5] Masson, Napoleon et sa famille, vol. V, p. 51
[6] Archivio di Stato di Lucca, carte Mansi, filza 4, rif. 206.
[7] Archivio di Stato di Lucca, Carte Bezzi.
[8] Da “L’Eusebiano”, settimanale cattolico dell’Arcidiocesi Vercellese, Anno III, n. 28, Vercelli 7 aprile 1960.