Rav Bahbout, Rabbino Capo di Venezia, punto di riferimento della comunità ebraica del Mezzogiorno, docente universitario di fisica, studioso e membro della UCEI ed autore di numerosi testi. Attivo nella ricerca delle radici dell’ebraismo meridionale è stato attore della rinascita della comunità pugliese e della crescita della presenza ebraica in Calabria ed in Sicilia.
Dal 2000, anno della legge istitutiva della giornata della Memoria, ad oggi quale bilancio possiamo fare?
“Da una parte potrebbe sembrare positivo per il coinvolgimento delle istituzioni, dall’altro c’è il fatto che, come ogni cosa, è presentata in maniera ripetitiva e quasi liturgica: il pericolo è che diventi una cosa sterile. In generale si nota una certa stanchezza per il modo stesso privo di originalità con il quale viene presentata la giornata della memoria. Poi molto spesso si dice vengono immessi nella giornata della memoria eventi che non sono direttamente collegati con la Shoà”
Cosa propone?
“Innanzitutto penso che sia importante dedicare più spazio alle iniziative che coinvolgano le scuole, le università, è la cosa più urgente. Qualcosa si fa in questo ambito ma bisogna fare molto di più e portare a conoscenze veramente le cose non tanto nei numeri ma quello che è importante, è che quando si parla dei 6 milioni di ebrei, oltre gli zingari, gli omosessuali, bisognerebbe anche ricordare i loro nomi. Nella massa si finisce per perdere il punto di riferimento: si tratta di persone e non di numeri. Lo scopo dei nazisti era quello di ridurre a numeri le persone. Lo scopo invece è di riumanizzare queste persone, raccogliere le loro testimonianze. C’è un libro della memoria dove vengono raccontate le storie delle persone che sono state internate nei campi di sterminio e questo indubbiamente è importante: parliamo di persone, non di oggetti o di numeri. Bisognerebbe quindi che una persona, meglio se è un giovane, “adottasse” uno dei deportati assassinati nei Campi di sterminio nazisti e dei loro collaboratori: sarebbe l’unico modo per fare uscire dall’anonimato coloro che sono stati assassinati.
Secondo, poi c’è anche il fatto che la persecuzione nazista non è terminata con la chiusura dei campi di sterminio, molte persone sentono ancora gli effetti di quello che è accaduto. I figli portano ancora la memoria di quanto accaduto, anche chi è tornato dai campi spesso ha gli incubi collegati con la persecuzione nazista. Non finisce con la generazione dei figli o dei nipoti. Non sono soltanto le persone le vittime sterminate nei campi di concentramento ma tutti coloro che bene o male hanno dovuto subire le persecuzioni e ancora oggi hanno memoria di come sono andate le cose. Spesso chi non è stato nei campi di sterminio ha subito traumi irreversibili: mia moglie, ad esempio, ricordava che il nonno regolarmente ogni tanto scappava e portava i nipoti a nascondersi nel sottoscala dicendo “stanno arrivando i tedeschi”. Quindi queste cose sono rimaste nelle generazioni successive”.
La sproporzione tra l’attenzione dell’occidente alle azioni israeliane rispetto a quella dimostrata verso i tanti eccidi in varie parti del mondo, evidenzia una crescita dell’antisionismo.
“L’antisemitismo esiste indipendentemente dagli ebrei e lo si è potuto constatare anche in Paesi dove gli ebrei sono completamente scomparsi. C’è da dire che l’antisemitismo molto spesso è accompagnato dall’antisionismo. L’italiano “brava gente” per definizione cerca di dimenticare le proprie responsabilità durante il periodo fascista e non fa i conti con il proprio passato antisemita, scaricando le responsabilità sugli altri, sui tedeschi ecc. Qualsiasi azione, anche di difesa, dello Stato di Israele ha creato farneticazioni per cui certi fatti vengono amplificati, rispetto ad altri, per trasformare le vittime in persecutori. POCO O NIENTE SI PARLA DELLE STRAGI DI DECINE E DECINE DI MIGLIAIA PERSONE IN Sira, Irak,Nigeria Questo, nonostante lo Stato di Israele sia l’unico stato veramente democratico del Medio Oriente dove anche gli arabi – musulmani o cristiani – hanno i loro rappresentanti in parlamento. Israele è l’unico stato del Medio oriente in cui vengono rispettati i diritti di tutte le minoranze (si pensi ai circassi e ai drusi). Il problema è che l’antisionismo è spesso un modo per coprire l’antisemitismo che riemerge gradualmente. Oggi in Europa dove abbiamo una notevole presenza di musulmani, molti sono coloro che trasmettono un messaggio non solo anti israeliano ma anche anti ebraico. Una situazione complessa dove qualcuno dice che gli ebrei vanno bene quando sono vittime e per questo viene “celebrata” la Shoà, ma quando si difendono non vanno bene.”.
Quale rapporto tra educazione alla tolleranza e alla responsabilità, può essere evidenziato dalla memoria della Shoà.
“Non bisogna dimenticare che la Shoà è stato un evento drammatico, terribile e tragico che è stato preceduto da tanti, tanti altri eventi. Per fare un esempio, gli ebrei sono stati cacciati dal Meridione d’Italia o costretti a convertirsi: dopo l’editto di Isabella la Cattolica del 1492. Il Gherush – la cacciata – fu una piccola grande Shoà, completamente dimenticata. Questo dovrebbe interessare soprattutto coloro che abitano nel meridione. Personalmente ho scritto ai governatori per ricordare quell’evento e il Presidente della Campagna Caldoro ha emanata un decreto che stabilisce il 31 ottobre come giornata per ricordare la Cacciata. Lo scopo certamente è educare, non dimenticare. Il problema fondamentale è che a Shoà è potuta accadere perché la maggioranza degli europei (italiani inclusi) non ha protestato e ha accettato tranquillamente le leggi razziali emanate dall’Italia Fascista nel 1938, la notte dei cristalli ecc. Basta guardare a quello che è accaduto in Francia. Quando hanno assalito le scuole ebraiche, le sinagoghe, o torturato fino a ucciderlo, un giovane ebreo, la popolazione e le autorità hanno taciuto. Dopo Charlie Hebdo sembra che le cose siano cambiate. Perché le cose cambino bisogna partire dall’educazione nelle scuole e far conoscere le altre culture e religioni: è l’unico modo per vivere insieme, è molto più produttivo costruire insieme che distruggere”.
Orrori, stermini di genere, pulizia etnica, terrorismo, la nostra civiltà è sotto attacco: l’esperienza della seconda guerra mondiale è servita?
“L’esperienza della seconda guerra mondiale è servita solo parzialmente. Nonostante tutto si continua a discriminare. Le discriminazioni colpiscono anche i non ebrei, almeno in questo non siamo più soli. Gli ebrei però costituiscono sempre un obiettivo molto ambito perché degli ebrei si parla di più e si tenta naturalmente di trasformare un evento o un attentato in una notizia planetaria che fa più chiasso dell’attentato a una chiesa. Basti pensare agli stermini che sono avvenuti in Nigeria o in altri Paesi arabi, in Egitto e così via: un terrorista se vuole fare notizia attacca una sinagoga. Abbiamo “il privilegio” di fare notizia questo forse è dovuto al fatto che le persecuzioni agli ebrei non sono una novità, sono dalle tragi dei crociati in poi una cosa abitudinaria. Nessuno lo metterà in discussione, quindi c’è una certa indifferenza rispetto a questo. Siamo ancora lontani per poter dire che le cose si stanno volgendo al meglio. Per vincere il male bisogna parlare e ricordare il bene che i pochi coraggiosi e generosi hanno fatto per salvare degli ebrei. Fare il male era diventato parte integrante della natura dei nazisti e dei fascisti: quando fare il bene diverrà parte integrante della natura dell’uomo (lo stato che il profeta Isaia definisce come quello in cui ”il lupo dimorerà con l’agnello”), diventerà “banale” così come è stato “banale” durante il nazifascismo il male, allora, l’umanità avrà fattoun piccolo ma determinante passo avanti.