Dietro la storia dei vinti spesso c’è molto di più, ci sono secoli di tradizioni, cultura e di identità che vanno oltre la sconfitta. Ci sono storie individuali che diventano collettive nel segno di quell’unità del Sud che, nonostante tutto, ha conservato la sua autonomia per sette secoli, ed anche dopo la sconfitta è riuscita a tramandare la sua identità, la sua cultura, le sue tradizioni fino ad oggi . Il Risorgimento visto dal Sud, da chi lo ha subito e ne è uscito sconfitto e il tema al centro dell’ultimo libro di Gigi Di Fiore, studioso e meridionalista, La Nazione Napoletana, controstorie borboniche e identità suddista, edito dalla Utet. La storia è proprio quella dei vinti, di coloro che sono stati dimenticati, che hanno scelto di combattere fino alla fine, ben sapendo di essere dalla parte di coloro che sarebbero stati costretti a soccombere. Di Fiore con La Nazione napoletana ancora una volta, dopo I vinti del Risorgimento, esplora il mondo degli sconfitti e torna a parlare di cosa ha rappresentato il Risorgimento per il Sud.
“La nazione napoletana è una bussola di orientamento, il tentativo di far conoscere a chi non la conosce, la storia del Risorgimento vista dalla parte dei vinti. – dichiara Di Fiore – Una sorta di istruzioni per l’uso di chi del Mezzogiorno d’Italia poco sa e quello che sa lo colora spesso di pregiudizio. È un viaggio in tre tappe per riuscire a capire quali sono le nostre radici, cosa accomuna delle persone che vivono sullo stesso territorio ed hanno una storia di 7 secoli di autonomia e come quelle tradizioni, quella cultura quella storia sia riuscita a sopravvivere all’unità nazionale e sia arrivata fino ad oggi.”
Lei ha parlato nei suoi libri del Risorgimento visto dalla parte dei vinti, perché ritiene che sia una storia che non sia mai stata raccontata, cosa rappresenta questo nuovo libro?
“Prima di tutto lo considero un libro più maturo, lo considero una bussola per orientarsi nella storia del Merdione, è in tre tappe, in cui la prima tappa parte dalla nostra storia, dalla storia individuale dei meridionali che hanno difeso e volevano difendere l’autonomia e l’indipendenza della nostra nazione, che era diversa da quella che si voleva imporre. Sono uomini, che ben sapendo di stare dalla parte dei vinti, difendono le loro idee e non salgono sul carro dei vincitori, ecco questa coerenza è guardata con ironia. Nella seconda tappa si parla della grande storia del Mezzogiorno prima e dopo l’unità d’Italia, riuscire a capire come mai una stessa identità, un’idea di nazione una comunanza culturale riuniva una serie di persone che erano in quel momento diventate parte di un’altra nazione unita e soprattutto persone a cui veniva imposto loro un’altra identità. Da questa unificazione ne è nata comunque una conservazione di quella identità e di quella cultura”.
E la terza tappa?
“E’ l’oggi, dopo le storie e la coerenza di chi voleva difendere la sua identità anche dopo, capire cosa è rimasto di quei sette secoli che vanno da Ruggiero di Altavilla fino ai Borbone, nel nostro DNA e nel nostro sangue, è l’oggi di quella grande tradizione, di quella grande storia della nostra nazione e capire come quella unità politica di è trasformata in identità di tradizioni e cultura, come quel patrimoni è diventata napoletanità, intesa come sentimento comune di tutto il mezzogiorno che può essere una grande risorsa, una grande nazione per l’Italia che si contrappone alla napoletaneria, che altro non è che la degenerazione di quella cultura dalla quale discendiamo”.