Antonio Troise

Disco rosso, disco verde. E, poi, ancora disco rosso. Un’altalena di sentenze e giudizi, verdetti e carte bollate. Nel Paese dei veti incrociati, vince chi blocca. A perderci, siamo un po’ tutti. Così nella puglia dei 3 milioni di ulivi, quasi uno per abitante, non se ne riescono ad espiantare poco più di duecento per far passare il Tap, il gasdotto che dovrebbe portare 10 miliardi di metri cubi di gas dall’ Azerbaijan all’Italia. Non si può fare, ha sentenziato ieri il Tar, accogliendo il ricorso degli ambientalisti. E sconfessando il giudizio di appena una settimana fa emesso dal Consiglio di Stato.

Quel che è peggio, però, è che il Tap non è un’eccezione. Ogni anno viene pubblicato un rapporto da incubo sui costi del non fare in Italia. L’ultima versione, quella del 2016, stima in oltre 600 miliardi di euro, da qui al 2030, la bolletta dei ritardi e delle opere infrastrutturali bloccate. Un elenco impietoso dal momento che 59 miliardi riguardano il trasporto stradale e portuale e 55 miliardi le reti e le infrastrutture energetiche.

Sempre per restare in Puglia, lo studio di fattibilità del gasdotto è del 2013, i lavori sono cominciati 4 anni fa e dovrebbero finire nel 2020. Inutile dire che abbiamo già accumulato anni di ritardo. Sempre meglio, per la verità, di quello che accade sulla Maglie-Leuca, una striscia di asfalto bloccata da ben 22 anni dalle liti giudiziarie. Secondo uno studio dell’Anas, infatti, le battaglie che si combattono nei tribunali a colpi di carte bollate hanno ormai raggiunto la cifra astronomica di 9 miliardi di euro. Processi e ricorsi che non solo comportano lievitazione dei costi ma soprattutto dei tempi. Ma ormai è diventata una prassi. Non a caso, nelle imprese che si aggiudicano i lavori, spesso ci sono più avvocati che ingegneri. Come d’obbligo nel “Paese-del-non-fare”.

Fonte: Qn