di Laura Bercioux
Le dichiarazioni sull’immigrazione di Peppe Barra, hanno suscitato non poche polemiche. L’artista ha dichiarato, in un’intervista al Corriere, che gli immigrati “Stanno deturpando, lordando, svilendo Napoli. Questi immigrati sono maleducati, arroganti, cattivi”. Peppe Barra, artista partenopeo di vecchia data, non usa mezze misure. L’immigrazione è diventata una piaga e le politiche di contrasto, sia a livello nazionale che locale, sono insufficienti. Prima Peppe Barra, artista fra i più illuminati della tradizione partenopea, e poi Senese: Pagano, perché questo colpo di coda contro gli immigrati?
“Mi sorprende molto. E mi sorprende che venga dalle labbra di chi, a buon merito, incarna l’anima napoletana. Napoli, se ha una qualità, ha proprio questa: non è razzista. Anzi, non conosce questo concetto. Anche se, a voler essere proprio cavillosi, il napoletano possiede un cerno suo snobismo, che si manifesta però nei confronti di chi abita un altro quartiere, o magari sta in provincia, e non verso chi arriva dall’altro lato del mediterraneo. È una posa insomma, un vezzo demodé, da Totò in “Signori si nasce”…”
Cosa non l’ha convinta delle parole di Peppe Barra?
“Innanzi tutto il fatto che si è dimostrato così poco informato: ha parlato di Piazza Dante, e non poteva fare esempio peggiore. Piazza Dante è a pochi passi da casa mia, è una zona che conosco bene, sin da quando sono nato. Ora quell’area del centro, in particolare il Cavone, è occupata essenzialmente da immigrati provenienti dallo Sri Lanka, e devo dire che sono un modello di correttezza. Poi vivono appartati, per cui neanche il più fobico dei napoletani potrebbe sentirsene minacciato. Le poche cattive abitudini che hanno, le hanno apprese da noi… Attraversare la strada con l’Alt, ad esempio, o andare in tre in motorino”.
E Senese?
“Senese lo conosco meno rispetto a Peppe Barra. Non so se ha voluto semplicemente dire la sua per voglia di apparire, o se volesse difendere il suo amico. In ogni caso, la sua frase riferita ai profughi, “emigrano per ignoranza”, è davvero un po’ balorda.
Senese dimentica quali sono le condizioni di vita di partenza, e vendere fazzolettini all’angolo di un semaforo può essere una prospettiva paradisiaca per chi rischia di essere fatto a pezzi al Paese suo, o non ha cibo e acqua per sostentare la propria famiglia e se stesso. Siamo in pieno Centenario della Grande Guerra, anche se le commemorazioni italiane partiranno correttamente dall’anno prossimo, e allora bisognerebbe ricordare a Senese che qualcosa di simile è accaduto anche in Italia, e soltanto 100 anni fa: le masse di fanti calabresi, lucani, pugliesi, campani, siciliani che salivano al Nord per difendere confini che spesso per loro significavano poco, lo facevano anche perché in molti casi trovavano condizioni di vita migliori. In pratica, la vita nelle campagne del meridione era così misera, che quella di trincea, al fronte, era migliore.
Se la storia ci insegna una cosa, ci insegna che la pace e la prosperità nascono sempre dalla solidarietà e dalla ragionevolezza, mentre dalla guerra, dai pregiudizi e dalle prevaricazioni scaturiscono soltanto morte e miseria.”
Una parola sui suoi libri, dove la realtà del sud è analizzata con occhio estremamente disincantato, ma anche pronto a coglierne la poesia: lei è reduce dal successo di Perdutamente e sta già per uscire un nuovo romanzo….
“Perdutamente (Giunti editore) mi ha dato e mi sta dando grandi soddisfazioni. È un libro impegnato che è riuscito a stare in classifica, e il 20 settembre riceverà il Premio “Un libro per il Cinema” al Pompei Cinema Festival. Il 26 agosto sarà invece in libreria “I tre giorni della Famiglia Cardillo” (Piemme) un thriller tragicomico, anzi una “mafiàba” come l’ho definito io, che ho ambientato in Cilento, precisamente in un paese immaginario nei pressi di una località incantevole di quella zona, che si chiama Petina: un luogo incantato che invito tutti a visitare. Di scena tra l’altro una scatenata famiglia di mafiosi italoamericani: per non dimenticare che siamo stati un popolo di emigranti e che non sempre ci siamo fatti amare”.
La scheda:
Flavio Pagano (Napoli, 28 giugno 1962) è uno scrittore e giornalista italiano. Prima di dedicarsi alla letteratura, ha operato nel settore editoriale fondando nel 1985 la Pagano Editore, attiva fino al 2000. La casa editrice diede vita a un ricco e prestigioso catalogo, con una vocazione particolare per la musicologia. Ha collaborato e collabora con numerose riviste (Donna Moderna, L’indice dei libri del mese, Nautica, Trekking) e quotidiani (Corriere del Mezzogiorno – per il quale cura anche la rubrica Storie di sport – Pubblico Giornale, il manifesto, Liberazione, Il Denaro). Oltre che autore televisivo, è stato anche conduttore del programma televisivo Lo facciamo per sport…, dedicato alla storia delle Olimpiadi, andato in onda su Dtv. Dal 2000 ha iniziato la carriera di scrittore.
La scrittura di Pagano spazia attraverso generi diversi – dalla letteratura sportiva, alla storia, alla narrativa pura. In La rivolta degli zingari – Auschwitz 1944 – come ha scritto Francesco Prisco su Il Sole 24 ORE[1] – attraverso la tragica vicenda di un gruppo di adolescenti deportati dai nazisti, Pagano racconta – per la prima volta – l’episodio della ribellione degli zingari vittime del Porrajmos: «Corrispettivo della Shoah ebraica poco studiato, anche per effetto della scarsa integrazione delle popolazioni sinti, rom e kalé, sul quale si concentra La rivolta degli zingari – Auschwitz 1944».
In Quelli che il rugby, si racconta invece l’iniziazione alla vita di un giovane rugbista, alle prese con la sua ultima partita. Filippo Nassetti, su Il Foglio, ne ha scritto: «Un romanzo dove l’uovo da rincorrere rappresenta l’aspetto mistico e metafisico. I giocatori ne devono subire i capricci del rimbalzo, perché sono mortali e non possono essere padroni del destino: non fanno parte del mondo soprannaturale che l’ovale rappresenta. Essi sono ben piantati con i piedi per terra, e devono spingere, correre, placcare: sopravvivere». Secondo il periodico Carta, Pagano ha contributo anche allo «sdoganamento a sinistra del rugby, spesso visto come uno sport fascisteggiante».
Dal libro Monologo per editore, in cui si racconta il glorioso fallimento di una minuscola casa editrice travolta dall’impossibilità di conciliare il sogno di una cultura libera e creativa con gli implacabili meccanismi del mercato, è stato tratto uno spettacolo teatrale, andato in scena in prima nazionale al Festival delle Ville Vesuviane nel 2004: «Una hilarotragoedia che sarebbe piaciuta a Giorgio Manganelli,» ha scritto Mirella Appiotti su La Stampa, «nella quale sfrecciano come lievi e dirompenti fuochi d’artificio i tormenti, le illusioni, le utopie e anche qualche pallottola ben avvelenata di chi porta in sé la meravigliosa condanna a una esistenza tra la carta stampata (…) una deliziosa fiction in vista dell’agognata catastrofe».
Il romanzo Ragazzi ubriachi, che narra la storia vera di un gruppo di giovanissimi alcolisti (premio speciale della giuria al Morante 2011), è stato inserito nella classifica dei libri di qualità del 2011, stilata da Pordenonelegge. A proposito di questo romanzo, Silvana Mazzocchi scrive su La Repubblica: «Flavio Pagano ha il dono di una scrittura semplice e suggestiva, e il suo romanzo ha il merito di raccontare un pezzo di vita vera.» Ne Il campione innamorato, Pagano tocca il tema del rapporto tra sport e sessualità, e l’eco di questo lungo exucursus attraverso la storia dello sport e del costume, corredata del racconto delle vicende personali di grandi campioni, è stata così forte da rimbalzare sulla stampa internazionale. Il Washington Post, commentando il libro e le polemiche da esso suscitate, ha evidenziato come anche nelle quattro principali Major Leagues americane, nessun atleta abbia mai fatto coming-out mentre era in attività.