Lunedì 12 gennaio, alle ore 16.30, nell’auditorium del Liceo Scientifico e Classico “F. Quercia” di Marcianise, sarà presentato l’ultimo volume dell’architetto Salvatore Costanzo dal titolo: “Apporti alla pittura napoletana del Cinquecento. Le tavole sacre di Marcianise” (Giannini Editore, Napoli 2014). All’incontro parteciperanno il prof. Diamante Marotta – Dirigente Scolastico del Liceo Quercia, il dott. Antonio De Angelis – Sindaco di Marcianise, l’on. dott. Domenico Zinzi – Presidente della Provincia di Caserta, l’arch. Salvatore Buonomo – Sovrintendente ai Beni APSAE per le province di Caserta e Benevento, il prof. Mario Alberto Pavone – Ordinario di Storia dell’arte moderna dell’Università di Salerno, l’arch. Domenico De Cristofaro – Presidente dell’Ordine degli Architetti della provincia di Caserta; introdurrà e coordinerà i lavori l’avv. Giuseppe Diana – Giornalista . Il coordinamento della manifestazione, che si inserisce nell’ambito dell’iniziativa del Liceo dedicata agli “Incontri con gli Autori”, sarà affidata ai proff. Pasquale Delle Curti e Lia Rita Di Luzio.“Ampliare il ventaglio delle conoscenze approfondendo alcuni dati culturali dell’arte sacra del Cinquecento tra Napoli e Marcianise significa non solo tener conto di una matrice comune espressiva, ma interpretarla nella concreta dinamica degli sviluppi dello “sperimentalismo manierista” nell’ampio quadro delle province meridionali del Viceregno. Nel proporre un’estensione di interessi alle tavole pittoriche locali secondo un ritrovato legame di continuità culturale, si vogliono fornire delle indispensabili informazioni di base ai lettori, offrendo un catalogo di notizie inedite su molti aspetti significativi dei modelli esaminati, per una nuova visibilità storiografica e filologica delle opere”.Questa premessa ci è utile per introdurre la densa e impegnativa ricerca dell’arch. Costanzo – Storico dell’arte e Accademico di Paestum -, i cui testi si avvalgono di una documentazione archivistica, storica e iconografica ricchissima, ai quali si associano i pregi di una meticolosa disamina divulgativa. Il saggio si apre considerando alcuni aspetti della promozione artistica cinquecentesca affidata, a partire dai primi anni del secolo, alla richiesta dell’aristocrazia e della Chiesa. Viene messo in luce uno dei capisaldi più importanti dei primi lustri a Napoli: il fenomeno della scuola pittorica locale di Andrea Sabatini da Salerno e il suo ruolo di “cerniera” nel contesto della nascente cultura raffaellesca meridionale, sottolineando come lungo l’arco della sua attività, il Sabatini rimodellò l’impostazione del “grande maestro Urbinate” sugli orientamenti del pittore lombardo Cesare da Sesto, dello spagnolo Pedro Machuca e di Polidoro Caldara da Caravaggio, quest’ultimo di origini bergamasche.Di notevole interesse l’indagine conoscitiva su Giovan Filippo Criscuolo, artista di Gaeta ma di formazione napoletana, discepolo del Sabatini, che allargò la sua sfera culturale verso la straordinaria fioritura di polittici disseminati qua e là nelle province tirreniche del Viceregno; il suo linguaggio figurativo, oltre a mescolare le dolcezze di Raffaello agli umori di Pedro Fernandez (meglio noto come Pseudo Bramantino) e del Machuca, fu interessato anche dal vivace manierismo di Perin del Vaga.Introducendo nuovi elementi nello studio dell’opera di Polidoro, il saggio del professor Costanzo invita a riflettere sui singolari caratteri stilistici della sua pittura , a partire dagli anni ’40 del secolo. L’autore sottolinea più che l’insegnamento vero e proprio del bergamasco, l’influenza della sua cultura figurativa nella produzione di un gruppo di artisti molto attivo a Napoli attraverso i segni delle sue vivaci sperimentazioni manieristiche e del suo nuovo espressionismo caricato. A tale riguardo, i contenuti del libro vengono estesi alla produzione di tre interessanti personalità, significative di quegli anni a cavallo tra la prima e la seconda stagione del Cinquecento, influenzate non poco dai modi del Caldara: Marco Cardisco, Pietro Negroni e Leonardo Castellano. Puntando maggiormente l’attenzione su quest’ultimo, considerato fino a ieri un “polidorista” piuttosto modesto – non sempre capito e tuttora poco conosciuto – il Costanzo amplia il raggio della ricerca e formula un più attento e opportuno giudizio critico, riuscendo a distinguere nel napoletano il passaggio tra la prima fase manierista (che coincide all’incirca con gli anni ’40-50 del secolo), caratterizzata dal rinnovato e fervido interesse verso i modelli della maniera tosco-romana, e quella successiva (ascrivibile intorno al decennio ’60-70), che riflette il suo accostamento all’opera del maestro senese Marco Pino.Nella seconda parte del volume, l’autore fornisce un’attenta chiave di lettura del “corpus” pittorico di Giovan Bernardo Lama attraverso la selezione di quelle componenti culturali devozionistiche che ne caratterizzarono il percorso stilistico (si veda, a riguardo, la nascita del filone napoletano “devoto e misurato” di stampo post-tridentino). Di rilevante interesse i riscontri critici sull’organizzazione della scuola del Lama, alla quale fecero capo numerosi artisti che svilupparono fino alle estreme conseguenze le premesse del maestro: tra questi, il maddalonese Pompeo Landolfo, che cercò di cogliere e imitare gli aspetti più appariscenti della pittura lamiana, dando risalto maggiormente ai toni delicati.Giova mettere in luce, nell’ambito del manierismo-tardo di ascendenza tosco-romana, il notevole significato che assume nel saggio l’indagine critica e documentaria del lungo soggiorno a Napoli del pittore fiammingo Dirck Hendricksz, al fine di poter riflettere sulla centralità della posizione da questi acquisita nell’ultimo quarto del secolo, e la diffusione della sua opera in molte province meridionali sul crinale del XVI secolo, con una buona strutturazione di bottega e con uno spirito di efficace imprenditoria.In definitiva il libro può considerarsi una tappa considerevole della ricerca artistica in Campania e nella provincia di Terra di Lavoro; qui, come nella tradizione, torna alla ribalta la produzione cinquecentesca destinata a far crescere i fermenti della grande cultura locale.