Prima Romano Prodi, adesso il ministro Federica Guidi. Per un stesso stato di accusa: l’Italia rischia di “regalare” ad altri Paesi le risorse petrolifere che sono insite sul proprio territorio e nel caso specifico, Mar Adriatico, nel sottosuolo marino. Insomma,
davanti la porta di casa abbiamo una potenziale riserva di petrolio e gas eppure non facciamo nulla. Sotto la nube del rischio ambientale teniamo tutto fermo, lasciando ad altri (vedi Croazia) lo spirito di iniziativa. Eppure mentre ora sembrano essersi svegliati anche politici di primo livello come l’ex presidente del Consiglio e l’ex rappresentante dei giovani industriali oggi in
carica nell’esecutivo renziano, da tempo c’è chi grida ai quattro venti che l’Italia rischia il default energetico se non attiva subito a sfruttare lepotenzialità che sono presenti sul proprio territorio nazionale. Stiamo parlando di Federpetroli e del suo presidente Michele Marsiglia. Ma procediamo con ordine.
Come detto il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi è intervenuta sulla questione sollevata da Romano Prodi nei giorni scorsi dalle pagine de ‘Il Messaggero’, con la quale il Professore rimarcava il fatto che l’Italia naviga letteralmente su un mare di petrolio che potrebbe permettere di raddoppiare a 22 milioni di tonnellate la produzione nazionale ma l’immobilismo di Roma sta
lasciando alla sola Croazia lo sfruttamento di queste risorse, localizzate soprattutto in Adriatico. Il ministro Guidi ha precisato che “per l’Adriatico è stato emanato nel 2013 un decreto di rimodulazione delle aree marine aprendo nuovi spazi di ricerca. Abbiamo insomma disciplinato dove è possibile intervenire e dove no tutto questo in attesa del recepimento della direttiva europea del 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi”. Giusto, solo che mentre l’Italia resta ferma ad attendere
che la procedura burocratica faccia il suo corso, il vicino di casa più prossimo, la Croazia, è un passo avanti a noi. Sin dal febbraio scorso, il ministro dell’Economia croato Ivan Vrdoljak aveva affermato che sul fondo dell’Adriatico croato esistono ingenti risorse ancora non sfruttate di petrolio e gas naturale. E lo aveva fatto a bordo della nave Seabird Northern Explorer, della società norvegese Spectrum, impegnata da settembre 2013 su commissione del governo di Zagabria nell’esplorazione delle risorse petrolifere potenziali
sotto l’Adriatico orientale.
I dati, raccolti lungo 15 mila chilometri al largo della costa, hanno indicato l’esistenza di nuovi giacimenti. Ed ecco che meno
di un mese fa è arrivato il via libera da parte del Governo croato alle perforazioni petrolifere in mare. Con numeri impressionanti: la stima è di 2 mila chilometri quadrati di giacimenti, per un totale di 3 miliardi di barili.?Si tratta di qualcosa come 29 blocchi di fondale adriatico, fra i 1000 e i 1600 kmq l’uno, di cui uno nel Golfo di Venezia e altri prossimi alla Puglia. Stiamo parlando di un business miliardario che ha visto già scatenare l’interesse, almeno così si dice, di grandi compagnie petrolifere tra le quali
anche l’Eni, ma si parla pure di Exxon e Shell.
E l’Italia? Siamo fermi alla rassicurazioni fornite recentemente da Michele Bordo, deputato del Pd e presidente della Commissione Politiche UE della Camera, il quale al termine dell’incontro con la delegazione parlamentare del Gruppo di Amicizia Uip Croazia-Italia e l’ambasciatore di Croazia a Roma Damir Grubiša ha voluto garantire che “c’è piena disponibilità del Parlamento croato a impegnarsi, di raccordo con l’Italia, nella tutela ambientale dell’Adriatico, risorsa fondamentale per i nostri due Paesi. Mi convince anche l’idea di un report trilaterale continuo tra Croazia, Italia e Slovenia per mettere a punto politiche di salvaguardia per l’ecosistema. Mi auguro poi che, nel corso del semestre italiano di presidenza europea, il tema diventi oggetto di approfondimento durante gli incontri tra i rispettivi ministri dell’Ambiente”.
Siamo alle dichiarazioni di non belligeranza insomma. E tutto questo mentre
come dice Prodi, esclusi i produttori del Mare del Nord, Norvegia e Regno
Unito, l’Italia è “al primo posto per riserve di petrolio in Europa” e sul
fronte del gas il nostro Paese potrebbe fare di più: siamo “in quarta posizione
per riserve e solo in sesta per produzione”. Tutto vero, ma che bisognasse
cominciare a sfruttare meglio i nostri giacimenti lo sostiene da tempo, pur se
spesso inascoltato, Michele Marsiglia, presidente di Fedepetroli, la
Federazione petrolifera indipendente e non sindacale che rappresenta diversi
Settori dell’indotto petrolifero sia nell’upstream che nel dowstream, tra cui
1.890 impianti di distribuzione. In una intervista al Sole 24 Ore del 28
marzo scorso Marsiglia infatti affermava come “la politica energetica nazionale
deve essere completamente rivista. Non è accettabile che un Paese
industrializzato come l’Italia importi dall’estero l’80% del gas e del petrolio
che consuma. Occorre agire subito. A nostro avviso la soluzione è lo
sfruttamento delle ricche risorse energetiche nazionali». Marsiglia ribadisce
alcuni concetti che oggi gli stessi Prodi e Guidi riprendono e cioà che “con
una politica lungimirante l’Italia in 10-15 anni potrebbe arrivare a produrre
il 49% del fabbisogno energetico di oil and gas. Questo perché abbiamo molti
giacimenti inesplorati, ma certi, nelle nostre acque. E altri in acque
internazionali vicini alle nostre. Ci si concentra invece solo all’estero e si
finisce per perdere un patrimonio prezioso.?Non sarà facile vincere la
diffidenza degli ambientalisti.?In verità, le nostre relazioni con le
associazioni ambientaliste sono improntate a una politica di rispetto reciproco
e costruttivo. In Italia è piuttosto la burocrazia che sta strozzando lo
sviluppo di risorse energetiche in un contesto fatto di piccoli pozzi,
caratterizzati da un’estrazione sicura e un basso impatto ambientale. Se la
situazione è deteriorata, se esiste un pregiudizio generalizzato, la colpa è di
tutti, anche dell’indotto petrolifero. Manca una comunicazione con gli enti sul
territorio, un’operazione di trasparenza che permetta di portare a conoscenza i
vantaggi che potremmo ottenere da un piano di sviluppo delle nostre risorse.
Dal 2011 noi stiamo contribuendo a un piano per la definizione della politica
energetica nazionale.?Ma piattaforme e impianti offshore sono viste ancora con
forte sospetto da buona parte dell’opinione pubblica.?Prendiamo, per esempio,
il giacimento di Ombrina Mare, una piccola piattaforma alta solo 8 metri a una
profondità di 20, con una pressione molto bassa. Sarebbe un impianto sicuro,
con un controllo capillare del suo funzionamento”.
Eppure, dopo più di 20 anni di assenza, dal marzo del 2013 abbiamo finalmente
una Strategia energetica nazionale. Forse sarebbe il caso di attivarla, dando
indirizzi chiari e certi. Come sta facendo, ahinoi, la Croazia.