Di B. S. Aliberti Borromeo
Una voce nuova, fresca, giovane è entrata nella lirica italiana, una voce del sud capace di emozionare, di rivelare un mondo interiore ricco di sensazioni e immagini.
Caterina Zappia con la sua poesia, riesce a far trasparire i colori della sua interiorità, ponendosi a guardare il mondo con la tenerezza di madre, di donna, con la maturità e a volte con lo sguardo disincantato di un fanciullino richiamando la poesia di Pascoli.
Nata a Parigi il 27 maggio 1965, la poetessa cresce tra il profumo del cioccolato amaro e la musica di Edith Piaf, ma le sue origini sono calabresi ed è questa la sua terra che lei racconta, ama, vive, che vorrebbe diversa ma allo stesso tempo uguale e intatta nella sua cultura e tradizione.
I suoi versi sono freschi, il ricorrente vagheggiamento della sua terra assume una dimensione , un significato che oltrepassa i limiti dell’esperienza biografica: le terre, i profumi, i venti, il mare vanno oltre ad una precisa geografia; questa terra viene mitizzata nella evocazione assumendo toni e colori paradisiaci fino a simboleggiare l’infanzia incorrotta dell’uomo, che ognuno di noi sente di avere perduto e aspira a ritrovare; questa terra, quindi, si configura come momento alternativo al decadimento del vivere, alla trama usuale dei giorni, al male di vivere richiamando la poesia di Montale: quel male di vivere che non può essere annullato con l’indifferenza, ma superato con la poesia, unico e solo mezzo che porta il lettore al distacco dalla realtà, dal dolore.
La poetessa è un vulcano in eruzione, dà voce al tema del dolore dell’uomo, della sua condizione; una meditazione che si arricchisce e si sostanzia nelle emozioni vissute e trascritte, lasciando sempre posto alla speranza, quella virtù cristiana frutto di fede profonda ben visibile nella poesia “Polsi” dove lei scrive :” Tu sei rifugio di Mamma benedetta ed i tuoi figli attorno vedi arrivare, su questo Sacro luogo del Signore respiro l’umile preghiera” o ancora in “Preghiera”. Questa lirica racchiude, a mio avviso, la vera Caterina Zappia, una donna che ama e si dona così tanto che teme di non bastare e pertanto chiede : “Vorrei i tuoi chiodi e le tue ferite su questo corpo che non sa pregare”.
Nelle sue liriche ricorrono spesso figure di nuvole per la loro inconsistenza e uccelli per la loro libertà istintiva: questi vengono da lei colti e descritti mentre si stagliano nel cielo in un momento di staticità del mondo, levandosi alti al disopra della miseria e della pochezza della realtà. Ancora aggiunge foglie stropicciate, animali straneati dalla fatica, terra riarsa dal sole: ciò è una constatazione, un correlativo oggettivo tra gli aspetti più dimessi e quotidiani che rivelano il pianto delle cose e l’uguale sofferenza degli uomini. La sua raccolta di liriche “ I colori dell’anima” ha destato interesse nella stampa e segnalazioni in diversi concorsi nazionali ottenendo numerosi successi.