“Non risponderò ad alcuna provocazione. Andrò io dai presidenti delle Regioni ad ascoltare le loro ragioni, tuttavia vorrei che vengano prese in considerazione anche le mie”. Domenica 8 settembre, il giorno dopo il primo Consiglio dei ministri, a Sky Tg 24 parla il neo ministro degli Affari regionali Francesco Boccia. Spiega quale sarà il suo approccio dinanzi alle richieste dei governatori del Nord che negli ultimi anni hanno fatto dell’autonomia differenziata la loro bandiera. Parole rivolte soprattutto al veneto Luca Zaia, che ha promesso manifestazioni di rivolta se il nuovo esecutivo farà passi indietro rispetto agli accordi già presi sulle deleghe da trasferire dallo Stato centrale ai territori. Per il ministro di Bisceglie (e perciò solo ritenuto un avversario da alcunetestate del Nord allarmate dal numero di meridionali presenti a Palazzo Chigi), il perimetro ha un nome e cognome e si chiama Costituzione italiana. “Sarà quella la mia stella polare in tema di regionalismo differenziato”, afferma Boccia. Entro questo alveo va ricondotta la discussione sul modo di aggiornare e rendere più efficiente il sistema istituzionale in rapporto alle sue articolazioni territoriali. A partire dai livelli essenziali delle prestazioni da garantire in maniera omogena a tutti i cittadini, al di là del luogo in cui sono nati. Intano dal Forum Ambrosetti di Cernobbio il leader degli industriali Vincenzo Boccia ribadisce: “Non esiste una questione Nord contro Sud, esiste una questione nazionale che consiste nel come deve tornare l’Italia – che resta la seconda potenza industriale europea – su un sentiero di crescita” e pertanto invoca una manovra in deficit purché siano sbloccati gli investimenti alle infrastrutture che uniscono l’Italia all’Europa ed al mondo. E attenzione: “le divergenze tra ministri siano discusse e risolte nel Consiglio dei ministri e non sulle pagine dei giornali”. O peggio, sulle pagine dei profili social, dove la polemica infiamma sulla domanda: è se è giusto che ci sia un ministro della Repubblica privo del titolo di laurea. Per commentare il momento politico “visto da Sud” il Sudonline ha intervistato Isaia Sales, studioso dei fenomeni della criminalità e analista di lungo corso sui temi del meridionalismo.

Il clima di contrapposizione del mainstrem a dominante leghista, avverso a un esecutivo che conta undici ministri, non poteva certo decantare in due giorni, dopo mesi di polemiche sul passaggio di testimone alla guida del Paese. Lei che cosa pensa a questo proposito?

Partiamo dal dato numerico. Con il governo Conte bis si interrompe la lunga egemonia territoriale del Centro-Nord sulla composizione dei governi e della classe dirigente del Paese. Ben 11 ministri su 21 provengono ora dalle regioni meridionali.

Sono quindi terminati i venti anni di solitudine del Mezzogiorno, secondo la definizione dell’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola?

In realtà dovremmo parlare di venticinque anni perché l’isolamento parte dal primo governo Berlusconi in poi (1994), e dall’entrata prepotente della Lega sulla scena politica italiana, ciò non si era mai verificato.

Imporre un cambio di passo in senso meridionalista è stata una scelta consapevole o piuttosto di un esito casuale?

Allo stato attuale niente ci autorizza a ritenere esaurita l’egemonia settentrionale sulla politica economica del nostro paese.Al tempo stesso niente ci consente di affermare che il Sud è tornato ad occupare un posto centrale nelle scelte strategiche del governo giallo-rosso. D’altra parte è opportuno ricordare che l’assenza di peso del Sud nelle strategie economiche nazionale non ha riguardato solo i governi a presenza forzista e leghista, ma anche i governi del centrosinistra.

Alcuni premier, ad esempio Gentiloni con il ministro della Coesione Claudio De Vincenti, hanno provato a dare maggiore peso a politiche meridionaliste, non crede?

Sì ma non sono riusciti affatto a scalfire la tendenza di fondo: il motore dell’Italia politica ed economica successiva al 1992 è stato il Centro-Nord. Sicché anche la classe dirigente del centro sinistra si è mossa di conseguenza. Diciamole così: se il centrodestra ha mostrato segni inequivocabili di ostilità per i problemi del Sud, il centrosinistra ha oscillato tra indifferenza e superficialità.

Che cosa si può fare per superare la sterile discussione sulla composizione territoriale del governo?

Forse è venuto il momento che il pensiero meridionalista si presenti più audace. E dica apertamente che il filone di pensiero economico e politico prevalente in questi ultimi anni, che ha ritenuto che la nazione potesse prosperare anche con un Mezzogiorno debole e marginale, ha conosciuto un clamoroso fallimento.

L’Italia non si governa contro il Sud e non cresce senza il Sud. Vuole dire questo?

Non c’è oggi in Europa una nazione con così ampi divari territoriali come l’Italia. Cominciamo da questo.Analoghi divari che hanno caratterizzato lunghi periodi storici non sembrano più caratterizzare nazioni come la Spagna, la Germania, il Belgio, la Francia e l’Inghilterra. E anche nazioni dell’Est recentemente entrati nell’unione europea. Insomma, l’Italia è oggi il paese dualistico per eccellenza in Europa.

Al tempo stesso oggi non c’è nazione europea che cresca più lentamente dell’Italia…

Da almeno venti anni l’Italia è un Paese strutturalmente in declino.Ha rappresentato l’economia più in difficoltà dell’Europa dopo la Grecia, che tra l’altro oggi in ripresa. “Paese a più alti divari territoriali” ed “economia a maggiore difficoltà” non sono daconsiderare in maniera separata.

Lei ritiene che il declino dell’economia italiana derivi proprio dal permanere di questi forti squilibri territoriali?

Declino italiano e arretratezza del Sud sono dati sistemici, interdipendenti, non estranei l’uno all’altro.

Eppure per anni si è insistito sulla specificità di una questione settentrionale, che andava assecondata per ottenere il rapido rilancioindustriale ed economico del Paese. La vera emergenza, si diceva in quel periodo, era alimentare la locomotiva nordista, il vagone Sud che semmai avrebbe potuto agganciarsi in seconda battuta…

L’immotivato convincimento che l’Italia potesse crescere senza il suo Meridione è stato smontato più volte.Ma questi studi sono rimasti misconosciuti al grande pubblico e soprattutto non hanno trovato spazio nel sistema dei media. Economisti del calibro di Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis hanno dimostrato che se l’Italia scommettesse sullo sviluppo industriale del Sud, accompagnando alcune sue eccellenze produttive già presenti, nel giro di pochi anni diventerebbe economicamente più forte della Francia e della Germania.

Insomma con il Sud sviluppato ai livelli di alcune aree del Nord, il Bel Paese sarebbe il primo in Europa?

Va rimarcatoche il patrimonio manifatturiero presente nel Sud d’Italia ha un valore superiore a quello di intere nazioni come la Finlandia e la Danimarca. E che, nonostante tutte le difficoltà dell’ultimo ventennio, nel Sud si concentra il 31% dell’export italiano nel settore aeronautico, il 18% di quello agroalimentare, il 17% di quello automobilistico, il 13% del farmaceutico. In parole ancora più semplici: far crescere il Sud è un affare per l’Italia intera. E’ questo livello di consapevolezza che il meridionalismo deve imporre al dibattito politico ed economico della nazione.

Quindi con il Mezzogiorno a pieno regime, i motori dell’economia italiana diventano almeno due?

Analizziamo i dati a distanza più ravvicinata, comparto per comparto. Nel campo agro-alimentare il numero di addetti (124.000) è superiore a quello di intere nazioni come il Belgio e la Svezia. Nel campo dell’abbigliamento il Sud ha più addetti del Regno Unito, della Germania e della Repubblica Ceca. Nel settore degli autoveicoli gli addetti meridionali (42.000) sono superiori a quelli del Belgio, dell’Austria e di una regione come la Sassonia.

Non dimentichiamo un altro settore di eccellenza del Sud, quello aerospaziale…

Dove il Mezzogiorno conta22.000 addetti e compete con l’importante distretto di Tolosa in Francia. Il Sud, insomma, non è esattamente un deserto industriale, ma una grande area manifatturiera dell’Europa. Il rilancio produttivo del Mezzogiorno non è, dunque, una partita del tutto persa.

Quindi ogni esitazione nel predisporre una strategia efficace per i territori meridionali si trasforma in un danno per l’economia dell’Italia intera?

E in un indebolimento del suo ruolo competitivo nel mondo. Se in ognuno dei settori sopra citati il concorso del Sud aumentasse di qualche punto percentuale, i tassi di crescita dell’Italia raddoppierebbero. Ripeto: raddoppierebbero!

In definitiva è fondamentale ed urgente avviare il secondo motore della ripresa economica italiana, il motore meridionale?

Sarebbe questa una mossa strategica tra le più dense di prospettiva nelle mani dell’attuale governo. La domanda di questi anni “cosa può fare L’Italia per il Sud”, andrebbe cambiata in una più realistica constatazione: cosa potrebbe fare il Sud per arricchire l’Italia.

Una delle principali critiche che si muove al Mezzogiorno è non esprimere da sempre una classe dirigente all’altezza delle sfide cruciali. Come commenta questo addebito?

Dico che il meridionalismo deve liberarsi da ogni indulgenza verso le classi dirigenti meridionali. Il Sud deve prendere le distanze da chi attualmente governa gran parte delle sue regioni e delle sue città. Il sudismo, ossia la difesa ad oltranza del Sud così com’è, non è compatibile con il meridionalismo.

Può essere più preciso? Occorre una autocritica o cosa?

Se non ci sarà una radicale trasformazione della classe dirigente meridionale, se non si interrompono i canali clientelari, affaristici, privatistici e familistici che dominano in molte regioni e comuni, non ce la si fa a presentarsi credibili di fronte alla nazione e chiedere con autorevolezza l’apertura di una nuova fase. E questo è un problema oggi essenzialmente del Pd.

Proviamo a fare un allungo: se alle prossime elezioni regionali ci si presentasse con una classe dirigente totalmente rinnovata?

Si potrebbe provare un’estensione dell’alleanza di governo in periferia.E si aprirebbero strade inedite per una nuova fase dello sviluppo della nazione con un sud radicalmente rinnovato nelle sue classi dirigenti.