Alessandro Corti
Davvero una “soffiata” ci salverà dall’incubo corruzione, da quel malaffare che dall’Expo allo scandalo di mafia Capitale, brucia ogni anno lo 0,8% del Pil? All’Agenzia delle Entrate sono proprio convinti che il “whistleblowing”, (letteralmente “soffiare il fischietto”) possa essere la soluzione. Il sistema è importato dagli Usa, dove è utilizzato da molte amministrazioni, a cominciare dalla Sec (la Consob americana), con buoni risultati. Da noi, nonostante il triste primato di paese fra i più “corrotti” a livello europeo, comincia solo da ieri a farsi strada nelle amministrazioni centrali, anche se in alcuni Comuni è già partito in sordina. Di che cosa si tratta? Semplice: ogni funzionario dell’Agenzia delle Entrate avrà a disposizione una mail e una piattaforma informatica sulla quale presentare denunce di comportamenti illeciti, potendo contare sull’anonimato. In realtà la garanzia di non essere scoperti non è assoluta, dal momento che il funzionario potrebbe essere chiamato a svelare la sua identità nel caso fosse necessario nell’ambito delle indagini. Una possibilità che, invece, è completamente esclusa dal sistema americano, dove è addirittura prevista una ricompensa nel caso in cui lo Stato riesca a recuperare il maltolto.
Ma, al di là del problema dell’anonimato, il sistema solleva altri dubbi. E’ giusto e sacrosanto denunciare il funzionario pubblico che intasca una mazzetta. Ma è altrettanto giusto fare in modo che tutta la macchina dei controlli funzioni a regime, senza défaillance. Negli Stati Uniti, giusto per restare nel Paese che ha inventato il sistema delle “soffiate”, accanto al “whistleblowing” esiste un vero e proprio dipartimento anti-corruzione, sul modello di quello che in Italia è stato fatto con la Dia, la Direzione anti-mafia. L’autorità guidata da Cantone, invece, ha pochi mesi di vita e poche armi giudiziarie e investigative a sua disposizione. Altro grande tema, poi, è quello dei controlli: gli sguardi indiscreti sul tenore di vita o sui conti correnti dei funzionari a rischio “corruzione” potrebbero essere più efficaci di una soffiata. Probabilmente, l’accordo storico con la Svizzera o quello di ieri con il Liechtenstein, valgono più di mille “whistleblowing”, così come il ricorso più spinto alle banche dati, con gli incroci e le verifiche a tappeto. O, infine, il buon funzionamento della macchina giudiziaria, dove i tempi lunghi dei processi rendono sempre più probabile il rischio della prescrizione dei reati.
Insomma, più che una “soffiata” occorrerebbe una strategia integrata contro la corruzione. Ci guadagneremmo tutti: se dopo Mani Pulite il sistema avesse funzionato, l’Italia avrebbe un Pil più ricco di 300 miliardi, circa 5mila euro a testa, circa sette volte in più del bonus di Renzi.
fonte: L’Arena