di Alessandro Corti
I segnali di ripresa non mancano. Chiazze di rosa dopo i nuvoloni scuri degli anni della recessione. Si è risvegliato il mercato dell’auto. Il saldo della bilancia commerciale segna un saldo positivo di 7 miliardi (al netto dei prodotti energetici). Ricomincia a tirare anche il settore dei mutui e dei prestiti dopo mesi e mesi di andamento pressoché piatto se non negativo. Nel Triveneto, tradizionale motore del made in Italy, gli imprenditori registrano qualche piccola soddisfazione dopo essere stati costretti per troppo tempo a tirare la cinghia. Insomma, non si può dire che la crisi sia finita. Ma, forse, si può tirare un respiro di sollievo ed essere moderatamente ottimisti sul futuro prossimo venturo.
Perfino gli esperti del Fondo Monetario Internazionale, che ieri hanno completato, nel ministero di via Venti Settembre, il tradizionale esame sulla situazione del Bel Paese, sono tornati a Washington con un impressione tutto sommato positiva, anche se non hanno nascosto le loro perplessità su quelle che sono ancora le zone grigie del nostro sistema, dalla disoccupazione giunta ormai a livelli record intollerabili alla lentezza della nostra burocrazia e della nostra giustizia civile, che rischia di tenere sempre più lontani gli investitori stranieri dal Bel Paese.
Se la ripresa c’è, in pratica, questa è ancora fragile, un piccolo bagliore di luce che si intravede in fondo al tunnel. Per questo, oggi, dobbiamo evitare due errori. Vedere il bicchiere mezzo vuoto, lasciandoci trascinare dalla corrente del pessimismo. O, dall’altra parte, vederlo già mezzo pieno, indulgendo in un facile e prematuro ottimismo. La verità è che siamo appena all’inizio di un lungo e obbligato cammino: quelle delle riforme strutturali. Le tiepide aspettative di crescita non possono spingere il governo ad abbassare la guardia e a mollare le redini. Non a caso, ieri, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, pur incassando il giudizio positivo del Fondo Monetario Internazionale, ha insistito soprattutto su un punto: bisogna accelerare sulla strada delle riforme. L’elenco delle cose da fare è lungo, dal mercato del lavoro alle liberalizzazioni, dalla riqualificazione della spesa pubblica alle semplificazioni fiscali.
Il successo elettorale incassato da Renzi dopo le ultime europee consente, all’esecutivo, di avere a disposizione una piccola ma importante rendita di posizione per fare quegli interventi che il Paese aspetta da molto tempo. E, senza le quali, anche i fragili segnali di ripresa, che cominciano ad arrivare dal fronte dell’economia, rischiano di finire prima del tempo.
fonte: l’Arena