di Antonio Troise
Un passettino avanti. E uno indietro. I numeri che arrivano dal fronte macroeconomico contengono poche luci, molte ombre e un dato inequivocabile: è davvero difficile cantare vittoria o considerare chiusa la parentesi della più grave crisi dal dopoguerra con un’economia che in Italia, nel terzo trimestre, fa segnare una crescita zero. Decisamente insufficiente per uscire dal tunnel della recessione. Senza considerare l’emergenza delle emergenze, quella disoccupazione giovanile (la fascia di età che va dai 18 ai 24 anni) che tiene a casa quasi un giovane su due (il 43% per l’esattezza) e che continua a macinare incrementi da brivido, soprattutto fra i paesi dell’eurozona. Un trend che fa schizzare al record storico anche il dato, più complessivo della disoccupazione, che si attesta sul 13,2%. Mai così alta in Italia. Con una percentuale doppia al Sud.
Come si spiega, allora, il parziale ottimismo del premier, Matteo Renzi? Per la verità, nella fotografia scattata ieri dall’Istat, si intravedono piccoli sprazzi di luce. Nell’ultimo trimestre, ad esempio, il numero degli occupati è aumentato complessivamente di 122mila unità. Una cifra che non compensa l’aumento dei senza lavoro ma che, in un quadro che per l’intero 2014 è rimasto fortemente negativo, è sicuramente un segnale da non sottovalutare. Così come non va minimizzata la sostanziale frenata della caduta del Pil che, unita ad un rallentamento del calo dei prezzi, sembra allontanare la pericolosa spirale della deflazione. Cifre che confortano l’azione del governo e che spingono Renzi (ma anche il centro studi della Confindustria) ad essere più ottimisti sul prossimo anno.
E’ difficile dire, oggi, se avranno ragione coloro che intravedono spiragli di ripresa o i “gufi” che considerano ancora lontana la possibile ripresa. Ci sono ancora molte incognite sul cammino dell’economia europea, non ultimo la congiuntura dei paesi che alimentano il nostro export. Mentre il piano Junker, con i 320 miliardi di investimenti “virtuali”, appare insufficiente a dare quella scossa al sistema che molti operatori si aspettavano. Insomma, siamo ancora nel bel mezzo della recessione. Per uscire dalle secche della crisi non c’è che una strada: far ripartire gli investimenti e adottare tutte quelle misure necessarie per liberare l’economia dai tanti lacci che ancora la stritolano e la frenano. La riforma del mercato del lavoro, da questo punto di vista, è sicuramente da incoraggiare. Ma a patto che sia accompagnata da una politica industriale e da una serie di interventi che riducano, contemporaneamente, spesa pubblica e pressione fiscale incoraggiando gli investimenti privati. Da questo punto di vista il 2015 sarà l’anno della verità, e non solo per l’Italia.