Antonio Troise
Due strade sospese nel vuoto che si sfiorano senza incontrarsi mai. Treni più grandi dei binari dove avrebbero dovuto correre. Ma anche la stazione del metrò che a Roma ha funzionato 4 giorni per poi essere abbattuta. O anche, la collina a Ischia disboscata per errore per fare posto a una caserma che avrebbe dovuto essere costruita in un’altra zona. Storie dell’Italia dei progetti inutili, faraonici o semplicemente sbagliati. Destinati a rimanere lì, eterne incompiute o monumenti dello spreco, a futuro (e inutile) memoria. Certo, l’errore umano è sempre possibile. Perfino un ingegnere può sbagliare.
Ma c’è sicuramente qualcosa che non funziona se nei piccoli e grandi Comuni si continuano a costruire fontane e aiuole con i soldi pubblici e non termovalorizzatori o infrastrutture utili e magari senza errori di progettazione. Del resto, se per costruire un ponte o un’autostrada occorre attraversare il girone infernale delle conferenze di servizio o la battaglia dei ricorsi a colpi di carte bollate o tribunali, le possibilità di varianti (e, quindi, di sviste volute o casuali) sono pressoché infinite. Un percorso ad ostacoli, con norme che sembrano fatte apposta per aggirare le altre norme: quello che serve agli amministratori locali per finanziarie opere ad uso e consumo dei propri potenziali elettori.
I conti non tornano in un Paese il cinquanta per cento delle grandi opere è finito nel mirino della magistratura mentre l’altra metà rischia di non partire. L’Autorità anticorruzione, da questo punto di vista, è sicuramente uno strumento importante, se non altro per vigilare su appalti e regole, frenando la corruzione. Ma senza una contestuale riforma della burocrazia e un sistema più puntuale di monitoraggi e di controlli, continueremo ad essere il Paese dei treni impossibili e delle stazioni fantasma.