Giuseppe Pedersoli
Cannibalismo? Masochismo? Rivalità tra fratelli (di tifo)? Quali parole bisogna usare per definire i litigi (anche questo è un termine generico) tra chi è accomunato dalla stessa passione? Vade retro, polemica, mi tengo ben lontano dalle reciproche contestazioni sui social (e non solo) sui social tra i Rafaeliti e gli “anti”, tra i “papponisti e i “pro Aurelio”.
Ma da tifoso azzurro che da sempre (gratuitamente, sia chiaro) tenta di dire la sua, soffro. Non condivido i vaffa agli juventini, agli interisti, ai milanisti e ai romanisti perché mi ricordano i discorsi che nemmeno riesco più ad ascoltare tra berlusconiani e anti-Silvio. Perché? Perché nessuno riuscirà mai a far cambiare idea a nessuno. Detesto i meridionali che tifano per squadre del nord ma se una scintilla tenta di appiccare il fuoco di frasi dette e ridette, cambio scompartimento, vagone, aereo, nave, bar o qualsiasi altro luogo fisico o virtuale di discussione. Sarebbe come voler convincere un seguace di Al-Qaida che le costolette di maiale fritte con le papaccelle sono squisite e mi si perdoni la banalizzazione. Cosa c’entrano la costoletta, Al-Qaida e le papacelle col tifo azzurro? C’entrano, c’entrano.
Il 100 per cento di quelli che si affannano a contestare i commenti del giorno sul Calcio Napoli, se per caso sentono gridare: “Forza Napoli”, istintivamente rispondono: “Sempre”. Allora perché litigare, inveire, contro chi è animato dalla tua stessa passione? Se riesco a capire i motivi dei cori (deprecabili o meno) contro i bianconeri, pur col massimo sforzo teso alla comprensione, letteralmente impazzisco quando “ci si appiccica tra di noi”. Il presidente spende o non spende, l’allenatore ha ragione o meno, siamo tutti animati dalla stessa fede pallonara. Lascio ai sociologi e agli psicologi l’analisi scientifica sulle ragioni che spingono i tifosi del Napoli (di una medesima squadra, in senso più ampio) a ritrovarsi tutti insieme a quel paese. Però ho capito, alla soglia dei cinquant’anni, che tutto questo è inevitabile e si fonda su due perni: la superficialità e la rabbia, quasi scimmiottando il titolo di un celebre libro di Oriana Fallaci buonanima.
Iniziamo dalla prima, la superficialità. Da quattro anni di diverto (insomma, forse mi divertivo o mi diverto ma non sempre) ad analizzare le pagelle ai calciatori del Napoli, dopo le partite di campionato, di Repubblica, Mattino, Corriere della Sera, Roma, Corriere dello Sport, Gazzetta dello Sport e Mimmo Carratelli sul Napolista. Ebbene, sempre più spesso incontro amici che immediatamente esclamano: “Guarda che non sono affatto d’accordo con le tue pagelle”. Ed io replico, ormai come una litanìa: “Ma le pagelle non sono mie, io mi limito a riportare i voti degli altri. Mi sembra divertente, ad esempio, dire che Hamisk ha preso 4 dal Mattino e 7 da Repubblica”.
Per farla breve, mi sono reso conto che si sfoglia, si clicca, si linka ma nessuno legge davvero. Si parla senza aver capito, senza aver analizzato le affermazioni altrui. Per la rabbia, il discorso è più semplice. Se dopo una vittoria siamo tutti esaltati e voliamo sulle ali dell’entusiasmo, al primo pareggio, magari agguantato in dieci contro undici al 92° (per non parlare delle sconfitte) scatta il tutti contro tutti. Incredibile. Si arriva addirittura a parlare di “giornalisti prezzolati” che è un vero e proprio ossimoro partenopeo: Aurelio De Laurentiis non paga quello che deve al Comune di Napoli (almeno così sembra di capire), invocando crediti diversi, figurati se è disposto a dare soldi a chi scrive articoli sulla sua squadra! Ma le persone intelligenti ci sono sempre e su di loro faccio affidamento. Scrissi su facebook, dopo la vittoria del Napoli contro la Fiorentina: “E ora chi ha chiesto le dimissioni o l’esonero di Benitez, dovrebbe ammettere che ha sbagliato”.
Tre minuti dopo, arriva la replica di un mio caro amico avvocato: “Sono felicissimo di avere avuto torto”. Così come chi oggi critica il portiere Rafael, dopo qualche partita con parate miracolose, sarebbe pronto a postare: “L’ho sempre detto che è meglio di Neuer”! Insomma, c’è solo da prendere atto – e non prendersi collera – che un pizzico (un super pizzicone) di follia è da sempre spruzzato sul mondo del calcio. E’ un virus, una malattia dalla quale nessuno di noi vuole guarire. Lo stesso virus, la stessa malattia che ti fa abbracciare il vaffanculato di turno appena arriva il gol del Napoli. Lo stesso virus che ti obbliga, inconsapevolmente e obbligatoriamente, a concludere con le stesse tre parole condite da una virgola, quello che dici o scrivi: Forza Napoli, sempre.