di Antonio Troise
Ora che tutta l’Europa si è fermata e si sta allontanando a grandi passi dalla possibile ripresa, la domanda sorge spontanea: siamo proprio sicuri che l’architettura politica dell’euro, imperniata sui famosi parametri di Maastricht e, soprattutto, le ricette messe in campo dalla Bce e dai governi nazionali sano quelle giuste per affrontare la più grande e duratura crisi che l’Occidente ricordi? Potrebbe sembrare una domanda retorica. Ma la risposta richiede un ragionamento tutt’altro che scontato. Anche perchè, una volta uscita dalla sua sfera finanziaria, la grande crisi è ormai diventata “reale”, intacca la nostra vita di tutti i giorni bruciando posti di lavoro e risparmi. Senza considerare lo spettro della deflazione, per certi versi ancora più grave dell’nflazione a due cifre che ha rappresentato l’incubo italiano degli anni Ottanta. No, la discesa dei prezzi fa ancora più paura dell’aumento inconsiderato perchè rappresenta la spia di un’economia malata, incapace di uscire dalla recessione e di trovare, al suo interno, la forza giusta per darsi una scossa. Può sembrare un paradosso avere paura della discesa dei prezzi. Tutto sommato, per i consumatori, è solo un vantaggio. Eppure, quel numeretto negativo che l’Istat ha rilevato in dieci città, a cominciare da Verona (-0,5%) dovrebbe impensierire tutti. Perchè prezzi più bassi significano, prima di tutto, profitti e fatturati inferiori per le imprese. E, se gli imprenditori fanno meno utili (o non guadagnano affatto), sono costretti a ridurre la produzione e a licenziare. La deflazione, accompagnata dalla stagnazione dell’economia, si traduce in un aumento della disoccupazione e, quindi, in un ulteriore calo dei consumi (da questo punto di vista poco possono fare gli 80 euro di bonus decisi dal governo). E, se calano i consumi, aumenta automaticamente anche lo stock di merce invenduta nei magazzini delle imprese. Di fronte ad un eccesso di offerta, i prezzi quindi contineranno a calare alimentando un circolo vizioso. Se poi, a tutto questo, aggiungiamo la crescita zero, ecco servito il piatto più indigesto per le economie dell’Occidente, quello della recessione dell’intera area UE. Un mostro che dovrebbe far paura alla Banca Centrale Europea che ha la missione fondamentale di garantire la stabilità economica. Finora, i banchieri di Francoforte, hanno dovuto agire per ridurrre le spinte inflazionistiche. Ma ora lo scenario è completamente inedito ed, evidentemente, del tutto imprevisto. Ora che l’intera Eurozona segna una crescita pari allo zero e che perfino la locomotiva tedesca si è fermata (nel secondo trimestre il Pil è calato dello 0,2%, non accadeva da due anni) quei parametri e la stessa strategia della Bce sembrano ormai fuori dalla realtà, quasi anti-storici, inadeguati a traghettarci fuori dalle sabbie mobili della crisi. Per la verità, qualcosa a Francoforte, comincia a muoversi. In uno degli ultimi direttivi della Bce sono stati fissati tassi negativi per le banche che depositano i propri quattrini presso l’eurosistema. Come a dire: ogni mese perdono qualcosa.
Misure sufficienti? No. Tanto che già oggi dalla Francia (e, probabilmente, fra qualche mese anche dalla Germania) si cominciano a chiedere deroghe ai parametri troppo stretti decisi a Maastricht. Ma non è solo con le deroghe che si esce dalla crisi. La cura choc che il Vecchio Continente deve mettere in campo per uscire dalla recessione e spezzare il circolo vizioso della deflazione, deve prevedere anche altri ingredienti. A cominciare da una dose massiccia di investimenti pubblici e di riforme. E, quando si parla di riforme, il riferimento non può essere solo alle pensioni o alla spesa pubblica (che pure sono necessarie) ma all’intero sistema di governance del vecchio continente. Non è pensabile, ad esempio, avere una Banca Centrale che si sostituisce ai paesi-membri nella politica economica ma che non ha il potere di battere moneta o di alimentare un debito pubblico europeo. Sono questioni che, quando nacque l’Euro, rimasero in sospeso pensando che non fosse necessario abdicare in maniera così drastica alla sovranità nazionale in materia di politica monetaria . Ma che oggi, con lo scenario a tinte scure che ci troviamo davanti, dovremmo forse avere tutti il coraggio di affrontare.