di GIULIA SALVATORI
Fortuna. Mai nome fu così nefasto. Una bimba, sei anni, figlia del degrado e di una società malata. Nata e vissuta a Caivano, periferia di Napoli. Morta apparentemente dopo essere caduta da un balcone. Ma, in realtà, vittima, nei mesi precedenti alla sua morte, di abusi sessuali. O addirittura, secondo le ultime rivelazioni, due anni prima la sua morte. “Chicca” come la chiamavano nel quartiere. E come, probabilmente, l’ha chiamata il suo aguzzino. Ma forse quel nome, quelle parole, lei non le avrà neanche sentite. Un piccolo problema di udito l’accompagnava e la costringeva ad andare da una logopedista e, spesso, ad avere poco equilibrio mentre camminava. Una problema di famiglia che condivideva con il fratellino. E che rende la sua storia ancora più triste.
Chicca e Mimma, la sua mamma. Due donne. Mimma, 26 anni. Occhi che trasmettono dolore e dramma. Un volto che esprime tutto il suo smarrimento di fronte alla tragica fine della sua bimba, una storia più grande di lei ma che lei sa affrontare con grande dignità. Una donna costretta a vivere dentro le mura domestiche e che ora cerca giustizia dentro le mura del palazzo. Quell’isolato 3 delle palazzine popolari dello Iacp del Parco Verde di Caivano. Un sottile filo che lega la morte di Fortuna a quella del piccolo Antonio Giglio. E’ lo stesso edificio, infatti, dove il 27 aprile 2013 morì precipitando dal balcone di casa, dal settimo piano, il piccolo Antonio Giglio di appena tre anni.
Mimma. E una figlia, Fortuna, a cui lei dava tutte le sue attenzioni. Ma non solo a lei. Mamma attenta anche agli altri fratellini. Figlie e mamme, entrambe parte di una società che non perdona. E in cui ora una mamma vuole farsi giustizia da sola, decisa come è a cercare in quel palazzo l’orco che ha scaraventato giù la sua creatura. Donne che vivono una vita disperata. Donne che la vita spesso ha messo a dura prova. Donne che vivono la loro quotidianità in luoghi in cui per chiunque sarebbe difficile resistere anche solo pochi minuti. Dove tutto si mescola. Tutto si vive, a volte, con promiscuità. Dove tutto acquista un significato ancora più profondo. Dove il dramma diventa un lutto di tutti ma dove, drammaticamente, nessuno dice niente.
E così può succedere che nessuno parli. In un palazzo e in un luogo dove tutti sanno tutto di tutti nessuno sa chi ha usato violenza sul corpicino della piccola Chicca. E’ cosi la storia si riempie di particolari raccapriccianti, di scarpine mancanti, di giocattoli della bimba ritrovati dopo la sua morte, di parole non dette e di un parco, il parco verde, che si ribella.
Le mamme, le donne del quartiere si sono ribellate, ma non si è ancora riusciti a far emergere la verità sull’assassino. La supertestimone ha, infatti, ritrattato ben due volte: aveva detto di aver visto il 27 aprile 2013 una persona scaraventare dalla finestra il piccolo Antonio Giglio, nello stesso isolato 3 dove è morta Fortuna. Ma in procura e in caserma ha ritrattato.
E così ora a cercare i colpevole servirà la prova del Dna. Come è stato per Yara, lì al Nord. Così è anche qui al Sud. Perché la parola omertà spesso produce degli effetti inimmaginabili e perché questa resta l’ultima possibilità di trovare un responsabile.
Caivano oggi è questo. E’ tutto e niente.
E’ la voglia di cercare un responsabile che unisce tutti e che da a tutti la possibilità e voglia di cercare un riscatto alla propria esistenza ancora lontano. Ma, poi, dietro la porta di casa ognuno si chiude nel suo silenzio.
Un silenzio che ogni giorno uccide.