Solo chi crede alle favole può immaginare che, nella visita di ieri sul Colle, Berlusconi abbia parlato solo di riforme costituzionali, o degli interessi russi in Crimea, senza compiere un estremo tentativo di ottenere dal Capo dello Stato quello che finora non ha mai ottenuto per le note vicende che lo riguardano (tentativo, a quanto risulta, anche questa volta, senza successo). Il Cavaliere – scrive Ugo Magri su LA STAMPA – tenta il tutto per tutto in quanto non gli restano che sette giorni a piede libero. O forse un paio in più, perché l’udienza davanti al Tribunale milanese di sorveglianza è fissata il 10 aprile, però i giudici avranno tempo fino al 15 per stabilire in che modo l’ex-premier sconterà la sua pena. Lo staff legale berlusconiano non ha sollecitato alcun rinvio ben sapendo che, tanto, difficilmente sarebbe concesso. Per cui, un minuto esatto dopo la decisione, il leader del centrodestra verrà sottoposto a vincoli e restrizioni della sua libertà personale. Impossibile al momento prevedere se trascorrerà il prossimo anno relegato in casa (carcere a domicilio in ragione dell’età), oppure potrà cavarsela con 10 mesi e 15 giorni di affidamento ai servizi sociali.
Nel giro berlusconiano tutti preferirebbero di gran lunga la seconda delle due, che al condannato garantirebbe tra l’altro un’ampia agibilità politica. Già da tempo una folla di comunità è in lizza per accoglierlo in veste di munifico mecenate, sebbene in pole position pare ci sia l’Unitalsi, opera benefica che organizza i viaggi dei malati a Lourdes (ha la sede dietro via del Plebiscito). Tutti si augurano che il Tribunale acconsenta, dalle parti di Berlusconi, tranne uno: il diretto interessato. L’uomo è testardamente convinto che l’affido ai servizi sociali sarebbe mille volte più devastante per il suo sconfinato amor proprio. In quanto, diversamente dai domiciliari, richiederebbe l’adesione a concetti come pentimento e recupero alla società (un tempo si sarebbe parlato di redenzione) a lui del tutto alieni. La prospettiva di farsi ‘redimere’, anche solo attraverso colloqui settimanali con un assistente sociale, è vissuta da Berlusconi alla stregua di un’ingiuria. Primo, perché lui continua a proclamarsi innocente, si dice certissimo che questa sua verità sarà presto dimostrata a Brescia in sede di revisione del processo o in alternativa a Strasburgo, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Di qui lo stato d’animo del leone in gabbia descritto dalla Biancofiore, che è tra le sue visitatrici più assidue. Secondo: il Cavaliere trova altamente offensiva la pretesa che un assistente sociale possa insegnare a lui come si campa da persona onesta, e valutare strada facendo se ha ben digerito il concetto. Con tutti i visitatori si sfoga: ‘Come si può imporre una umiliazione del genere a chi è stato imprenditore, ha dato lavoro a 50 mila famiglie, ha fondato la tivù libera in Italia, per quattro volte è stato premier, ha rappresentato l’Italia in tutti i consessi, ha parlato addirittura davanti al Congresso degli Stati Uniti?’.
Gli avvocati lo supplicano in ginocchio di non ripetere questi discorsi in udienza, dove non è escluso che Berlusconi possa presentarsi, perché i giudici potrebbero prenderlo in parola e dirgli: ‘Ah sì? Non gradisce i servizi sociali? Allora si accomodi ai domiciliari’. Magari pure con il divieto di interfacciarsi con il mondo esterno, a parte pochi intimi (è ampia facoltà discrezionale dei magistrati ritagliare l’esecuzione della pena su misura di ciascun imputato, alla luce della sua personalità). In attesa di conoscere il suo destino, Berlusconi da combattente irriducibile le sta provando tutte. Nessuno, tantomeno chi lo considera il Caimano, può stupirsi dei colpi di coda. Tanto più che l’uomo destinato alle misure restrittive è la stessa persona su cui fa perno il progetto di rinnovamento delle istituzioni repubblicane. Il Berlusconi che viene considerato (come tutti i condannati, a norma della Costituzione) un soggetto da riportare per gradi e con mille cautele nel consorzio civile è lo stesso Berlusconi con il quale Renzi ha stipulato un patto per rifondare l’Italia. Lo ha stipulato in quanto, senza il Cavaliere, mancherebbero i numeri in Parlamento. Più che un paradosso è lo specchio della precarietà politica nazionale.