Pensioni, Ocse: In Italia precari a rischio povertà
La riforma del sistema pensionistico in Italia (la cosiddetta riforma Fornero) segna “un passo importante” per la “sostenibilità finanziaria” del sistema. Al tempo stesso l’innalzamento dell’età pensionabile e il passaggio al sistema contributivo mettono “a rischio povertà nella vecchiaia” i lavoratori “con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti”. A dirlo è l’Ocse, nel suo rapporto “Pensions at glance 2013”. Un pericolo, in realtà, comune a tutti i paesi dell’area. Sebbene l’indice di povertà nella vecchiaia sia sceso dal 15,1% del 2007 al 12,8% nel 2010, “nella realtà sembra aumentata” a causa di fattori come salute (più precaria con il crescere delle aspettative di vita) e abitazione (sempre meno di proprietà). “La maggior parte dei lavoratori che entra oggi nel mercato avrà pensioni più basse rispetto alle generazioni precedenti e avrà bisogno di risparmiare di più per la pensione”. Sarà colpita in particolare la classe media per cui le pensioni si aggireranno sul 54% dello stipendio, senza le tutele dei salari bassi e le risorse delle alte retribuzioni. Per questo l’Ocse osserva che “l’aumento dell’età pensionabile e la promozione di fondi pensione privati sono passi nella giusta direzione ma da soli non sono sufficienti. Assicurare che ognuno abbia uno standard di vita dignitoso dopo una vita di lavoro dovrebbe essere il cuore di ogni politica”.

Il capitolo riguardante il nostro paese mostra una situazione in miglioramento per quanto riguarda l’incidenza sulla spesa pubblica del sistema pensionistico, che nel 2009 era “il più costoso di tutti” con un peso del 15,4% sul Pil, a fronte del 7,8% della media Ocse. Con la riforma Fornero “l’Italia ha realizzato un passo importante per garantirne la sostenibilità finanziaria”. A questo contribuiscono in particolare l’innalzamento dell’età pensionabile e il passaggio al metodo contributivo. Sul primo punto, il dossier nota che “permetterà di conseguire notevoli risparmi in futuro”. In particolare “dal 2021 nessun lavoratore sarà in grado di andare in pensione prima di 67 anni” e dopo, “andrà ben oltre”, fino ai 69 anni previsti per il 2060, che proiettano l’Italia in vetta alla classifica dei paesi Ocse, insieme alla Danimarca. Nel frattempo, sebbene alcuni scatti esistano già sulla carta, lo studio rileva che “l’età effettiva alla quale uomini e donne lasciano il mercato del lavoro è ancora relativamente bassa in Italia: 61,1 anni per gli uomini e 60,5 per le donne”, prospettando “spazio per ulteriori miglioramenti”. Ovviamente – osserva l’Ocse – “le politiche per promuovere l’occupazione e l’occupabilità e per migliorare la capacità degli individui ad avere carriere più lunghe sono essenziali”.

Altro capitolo quello dell’adeguatezza dei redditi pensionistici al mantenimento di un adeguato livello di vita. Secondo l’Ocse “potrà essere un problema per le future coorti di pensionati”. Innanzi tutto, con il metodo contribuivo “i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti saranno più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia”. In secondo luogo, oltre alle prestazioni sociali per gli over 65, “l’Italia non prevede alcuna pensione sociale per attenuare il rischio di povertà per gli anziani”. Ancora, “il pilastro pensionistico privato non è ancora ben sviluppato”. E se circa l’80% degli over 65 in Italia è proprietario di abitazione – molti con il mutuo ancora in corso -, la percentuale va riducendosi nelle generazioni successive, eliminando dunque una fonte di reddito aggiuntiva. Ancora più decisivo è il fattore salute: “Gli standard di vita degli anziani sono significativamente influenzati dall’accesso ai servizi pubblici e la domanda di questi servizi aumenterà in futuro a causa dell’invecchiamento rapido della popolazione”. Il capitolo si chiude con la raccomandazione che “oltre alla sostenibilità finanziaria, l’adeguatezza dei redditi pensionistici e la lotta contro la povertà degli anziani dovrebbero rimanere dei temi importanti nell’agenda politica italiana”