A chi ha un impiego irregolare potrebbero andare 3 dei 6,1 miliardi previsti per il reddito di cittadinanza. Per ora è una bozza. Con stime, numeri e dati da confermare. È su quella bozza, però, che sono state effettuate le prime analisi sul reddito di cittadinanza, la misura anti povertà del M5s che dovrebbe essere introdotta dal governo in aprile. Tra gli studi sul cosiddetto Rdc c’è anche quello della Cgia, l’associazione artigiani piccole imprese con sede a Mestre, in Veneto. Con prospettive allarmanti: secondo la Cgia, metà del reddito di cittadinanza rischierebbe di finire nelle tasche di chi lavora in nero.
L’ultima bozza della misura del M5s, terreno di scontro con la Lega per la presunta mancanza di fondi per i disabili, prevede che le famiglie beneficiarie del sussidio siano 1,7 milioni, per un totale di 4,9 milioni di individui coinvolti. Lo stanziamento dell’esecutivo, per il 2019, sarebbe di 6,1 miliardi di euro, suddiviso in circa 400 euro al mese a famiglia e meno di 140 euro a testa per nove mesi.
Cifre che hanno spinto l’opposizione ad attaccare l’ala pentastellata del governo di Giuseppe Conte. «Il reddito non c’è e la cittadinanza è stata truffata», ha incalzato il forzista Maurizio Gasparri. «Le risorse ci sono e tutti gli aventi diritto riceveranno i 780 euro al mese che abbiamo promesso sia in campagna elettorale, sia nella manovra», ha ribattuto il capogruppo del M5s alla Camera, Francesco D’Uva.
Per la Cgia, però, circa 3 dei 6,1 miliardi stanziati per il Rdc sarebbero destinati a chi svolge lavori irregolari. L’associazione veneta, citando l’Istat, ha ricordato come in Italia ci siano circa 3,3 milioni di occupati che lavorano in nero. I dipendenti che svolgono impieghi irregolari ma che non avranno diritto al reddito, al pari dei pensionati senza i requisiti necessari, sono circa 1,3 milioni. Tolti loro, restano 2 milioni di potenziali beneficiari del sussidio che oggi non sono in regola. Quasi la metà dei 4,9 previsti dalla bozza del Rdc.
Sempre secondo la Cgia, la regione più a rischio sarebbe la Calabria, con un’incidenza dell’economia sommersa sul pil regionale pari al 9,4%, quasi il doppio rispetto al dato medio nazionale del 5,1%. Seguono la Campania e la Sicilia, mentre la Lombardia e il Veneto, rispettivamente al 3,9% e al 3,8%, sarebbero le meno interessate.
Fonte: Italia Oggi