Politica interna         

Referendum: A due settimane dal referendum costituzionale gli orientamenti di voto sembrano definiti, con gli ultimi sondaggi tutti allineati sulla prevalenza del No alla riforma rispetto al Sì: la forchetta è No al 52-54%, Sì al 46-48%. La distanza tanto ridotta tra le due scelte lascia però la partita totalmente aperta e fa diventare determinanti per il risultato finale gli attuali indecisi, stimati intorno al 20%. Per Carlo Buttaroni, presidente dell’Istituto Tecnè, nell’ultimo periodo sono avvenute due cose interessanti: “Sta calando il numero di elettori che pensano che questa riforma sia fondamentale per l’Italia. Inoltre la stragrande maggioranza degli indecisi è composta da elettori che hanno votato per quei partiti che oggi sono contrari alla riforma”. Questo non significa che lo sono anche loro, ma che hanno dubbi se schierarsi con il partito o scegliere in proprio. Secondo il sondaggio di Demos, invece, il 45% degli italiani intervistati ammette di conoscere “poco o per niente” la riforma, sia a causa della complessità del quesito sia perché il voto viene associato alla legittimazione di Renzi e del suo governo.

Renzi/Referendum: Dalla Sardegna Matteo Renzi cerca di fugare dubbi ed equivoci: se vince il No si dimetterà, e non consentirà la nascita di “un governicchio purchessia” solo “per tirare a campare” fino al 2018. “Per quanto mi riguarda non farò mai un governo solo per restare a galleggiare. È probabile che mi chiedano di restare perché non ci sono alternative, ma io non rimango a farmi logorare e condizionare. E se si vuole fare la legge elettorale per andare al voto, la si può fare in tre mesi, ma se la si vuole utilizzare come scusa per tirare per le lunghe, se lo scordino. Si va alle elezioni”, ha spiegato il premier ai suoi collaboratori. “Quando smetterò di fare il presidente del Consiglio, che sia domani o tra cinque anni, mi inchinerò alla bandiera italiana e dirò grazie per l’onore che ho avuto di servire il Paese. Non farò come altri che hanno messo il broncio, o che hanno deciso di votare No perché non hanno avuto uno strapuntino di consolazione. Io non sono abbarbicato alla poltrona”. A poco più di due settimane dal voto, quindi, la tensione è alle stelle e il “tutti contro Renzi”, scatenato dallo stesso premier, convinto che gli serva ai fini del consenso, non si ferma. Alla luce degli ultimi sondaggi, il premier continua la campagna referendaria a colpi di comizi, sottolineando che “la vecchia classe politica cha ha governato per trent’anni vuole riprendersi il potere che il Sì le toglierebbe definitivamente”, chiaro riferimento a Bersani e D’Alema.

De Luca/Bindi: “Ciò che fece la Bindi è una mossa infame. Da ucciderla”. L’ultimo affondo di Vincenzo De Luca, il più violento verso la presidente della Commissione antimafia, arriva in un “fuori onda” al termine di un’intervista a Matrix su Canale 5. I rapporti burrascosi tra i due nascono alla vigilia delle elezioni regionali 2015 quando la Bindi inserì il candidato presidente del Pd nella lista degli “impresentabili”, in quanto imputato nel processo sul Sea Park, il parco marino mai realizzato a Salerno (De Luca è stato assolto due mesi fa “perché il fatto non sussiste”). “Ci troviamo di fronte all’ennesimo atto di delinquenza giornalistica. Chiarisco che nell’intervista che ho rilasciato, nessuna domanda, tantomeno alcuna risposta, riguarda l’onorevole Bindi. Non c’è alcun problema con l’onorevole Bindi, le confermo il mio rispetto”, si è immediatamente difeso De Luca, che minaccia querela contro Matrix. La frase incriminata, naturalmente, ha scatenato una nuova raffica di polemiche e accuse contro il governatore campano. Matteo Renzi parla di “frasi totalmente inaccettabili, solidarietà piena a Rosy Bindi”. Dura anche la reazione del presidente del Senato Pietro Grasso: “De Luca chieda scusa alla Bindi e smetta di imitare Crozza. Non pensi di costruire consenso e simpatia. La sua è una rappresentazione di irresponsabilità e arroganza”. In serata arriva anche la risposta della diretta interessata, che per mezzo di un tweet scrive: “Grazie a tutte e tutti per la vostra solidarietà. Mi ha fatto bene. Rosy”.

Politica estera

 Obama/Merkel: Angela Merkel e Barack Obama, durante la conferenza stampa di ieri, hanno cercato di fissare alcuni punti fermi di fronte alla vittoria americana di Donald Trump che, dieci giorni dopo, lascia ancora il mondo piuttosto confuso. La preoccupazione principale dei due leader è che accordi troppo “realistici” tra Trump e Putin rinneghino i pilastri dell’Occidente (democrazia, libertà di espressione, commercio internazionale aperto, Nato, diritto internazionale, rispetto dei confini). La questione russa, in effetti, è stata al centro della riunione che il presidente degli Stati Uniti in carica e la cancelliera tedesca hanno tenuto ieri pomeriggio. Da parte sua Obama ha detto che gli accordi si possono fare solo quando le divergenze con Mosca non riguardano “valori e norme internazionali”. “Ho chiesto ad Angela e al presidente Hollande di continuare nella loro leadership sulla situazione in Ucraina – ha aggiunto Obama – e di mantenere le sanzioni contro Mosca fino a che non si faranno passi avanti”. Sulla stessa lunghezza d’onda Angela Merkel, che da una parte ha accusato la Russia di aver annesso la Crimea senza rispettare l’equilibrio dei confini nazionali, e dall’altra ha  confermato il proprio impegno e quello dell’Europa nella Nato, perché lo sbilanciamento attuale “non potrà resistere nel tempo”. Il presidente americano, infine, ha definito la cancelliera come una “leader eccezionale”, lasciando intendere che in lei vede il capo di governo nella posizione migliore per difendere i valori occidentali in questa fase difficile. Oggi è previsto un vertice, dove oltre ai due leader, saranno presenti anche Matteo Renzi, François Hollande, Theresa May e Mariano Rajoy. All’ordine del giorno temi caldi come l’immigrazione, i focolari di crisi in Siria e in Iraq, il Ttip, la crisi ucraina e i rapporti con la Russia, ma è evidente che l’incontro sarà soprattutto un’occasione per tastare il terreno del dopo-Obama, per sentire dal presidente uscente cosa ci si potrà aspettare dal suo successore.

Stati Uniti: Nuovo giro di consultazioni e una lista di ministri e consiglieri ancora tutta da riempire per Donald Trump che, a quasi dieci giorni dalla sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti, deve ancora fornire indicazioni sulla futura dirigenza americana. Ieri il tycoon si è incontrato con l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger per avere suggerimenti sulla scelta dei suoi collaboratori e informazioni utili sui rapporti Usa/Cina. Trump ha incontrato anche la governatrice del Sud Carolina, Nikki Haley, la “lady di ferro del Sud”, che potrebbe fare concorrenza a Rudolph Giuliani per la guida del dipartimento di Stato. L’agenda di ieri ha visto anche il colloquio informale con il premier giapponese Shinzo Abe sulla questione della nuclearizzazione dell’Asia. A rendere le cose ancora più complesse si sono aggiunte le dimissioni del numero uno dell’Intelligence Usa, James Clapper. Un atto dovuto da parte dell’alto dirigente dell’amministrazione Obama, che tuttavia pone l’accento sulla necessità di colmare quei vuoti dirigenziali che si andranno a creare da qui ai prossimi due mesi.

Economia e Finanza

Fed: La Federal Reserve è in dirittura d’arrivo per un rialzo dei tassi di interesse. Janet Yellen, intervenendo al Congresso nella periodica testimonianza sullo stato dell’economia americana, ha sgomberato il campo da dubbi sulle intenzioni della Banca Centrale all’indomani dell’elezione di Donald Trump e dell’incertezza politica che ha creato. “Una stretta potrebbe essere appropriata piuttosto presto, se i dati in arrivo forniscono ulteriori prove di progressi verso gli obiettivi” della Fed. Yellen si è tuttavia rifiutata di menzionare date precise (la piazza future dà ormai per certo un intervento al vertice del 13-14 dicembre), mentre ha offerto altre conferme tra cui la sua permanenza alla guida della Banca: “Resto alla guida della Fed, per ora. Intendo portare a termine il mio mandato”, che finisce nel 2018, rispondendo così a Trump, che in campagna elettorale non aveva fatto mistero di volere un cambio al vertice dell’Istituto. La presidente della Banca Centrale ha quindi illustrato le ragioni di fondo di una prossima scelta di rialzo dei tassi: “Se la Fed dovesse tardare troppo gli aumenti dei tassi interbancari, potrebbe essere poi costretta ad una stretta relativamente busca per evitare che l’economia superi gli obiettivi” sia nel mercato del lavoro che nell’inflazione. La Yellen ha anche messo in guardia da eventuali controriforme della Dodd-Frank, la legge che ha regolamentato la finanza dopo la crisi del 2007-2008: “Non possiamo riportare indietro l’orologio”.

Bilancio Ue: Nella notte tra mercoledì e giovedì i Ventotto hanno sbloccato uno dossier legati al bilancio comunitario. In un accordo tra Consiglio e Parlamento è stato dato il via libera al bilancio 2017, nonostante l’astensione dell’Italia. Rimane per ora bloccata la revisione del bilancio pluriennale 2014-2020, per scelta di Roma che ha espresso una riserva. Per l’anno prossimo il bilancio comunitario prevede impegni pari a 157,88 miliardi di euro e pagamenti per 134,49 miliardi di euro. Rispetto al 2016 vi è un aumento degli impegni per l’immigrazione e la sicurezza pari all’11,3% (per un totale di 5,91 miliardi). La diplomazia italiana ha ammesso che i miglioramenti nella distribuzione della spesa vanno nella direzione voluta dall’Italia, ma ha precisato che non sono sufficienti. Per quanto concerne l’astensione italiana, Matteo Renzi ha commentato: “Siamo pronti a ogni tipo di intervento, fino al veto. Ma non vogliamo fare gli egoisti: siamo pronti a fare la nostra parte ma chiediamo da parte dell’Europa più attenzione su crescita e migranti”. Il governo italiano, infatti, sostiene che la maggiore spesa a favore dell’immigrazione e dell’economia non sono sufficienti nella proposta attualmente in discussione tra i Ventotto. Alcuni funzionari comunitari, di contro, sostengono che le scelte italiane sono legate al voto per il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre, che Renzi considera un test politico per il suo governo. Pur di fare propri i voti che andrebbero tendenzialmente verso i partiti più radicali e anti-sistema, il presidente del Consiglio vuole assicurare all’opinione pubblica di essere la persona giusta per difendere gli interessi nazionali a Bruxelles.