Politica interna         

Referendum/1: “I 5 Stelle descrivono il futuro come un horror, come la destra e la sinistra radicale. Invito Grillo a un confronto e lui scappa”, è la rinnovata sfida di Matteo Renzi al fondatore del M5S, che replica: “Mi trovi in piazza. Se vuoi in tv viene Luigi di Maio”. L’ultimo mese di campagna elettorale si apre con le prime scintille tra il premier e l’ex comico, mentre Silvio Berlusconi incontra lo stato maggiore del suo partito e rilancia un impegno per No. Intanto da parte sua il premier apre sempre di più sulla legge elettorale nel tentativo di dividere la sinistra del Pd e di portare dalla parte del Sì almeno Gianni Cuperlo. La minoranza bersaniana e lo stesso Pierluigi Bersani, invece, non sembrano dare segni di voler tornare indietro dalla strada già intrapresa del No. Sul referendum stesso, inoltre, pende ancora la pronuncia del Tribunale di Milano su un ricorso presentato dal presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida per lo spacchettamento del quesito, pronuncia che non arriverà prima di dieci giorni.

Referendum/2: Matteo Renzi, ieri mattina, ha respinto quella che da più parti considerano una “proposta indecente”: rimangiarsi la riforma costituzionale appena approvata, in cambio del via libera berlusconiano a un rinvio del referendum del 4 dicembre. L’offerta è stata sottoposta al premier dopo un lungo confronto a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi, Gianni Letta e Niccolò Ghedini. Il fronte berlusconiano è convinto che il referendum sia tutto sbagliato e che l’Italicum sia da rifare da cima a fondo. Per questo a Renzi è stato chiesto di impegnarsi pubblicamente a emendare la riforma su almeno tre punti precisi: elezione diretta dei futuri senatori, maggiori poteri alle Regioni, quorum più alto per eleggere il capo dello Stato e la alte magistrature. Temi condivisi con grillini e sinistra Pd. La risposta del premier non si è fatta attendere. Renzi ha sostenuto che non cambierà nulla della riforma costituzionale, perché toccare una sola virgola sarebbe un’umiliazione troppo grande per chi ci ha messo la faccia. Intanto i 6 principali istituti di sondaggi segnalano come, a trenta giorni dal voto, la percentuale di indecisi rimanga altissima.

Politica estera

Brexit: I giudici dell’Alta corte britannica sotto la guida di Lord Cwmgiedd hanno fatto brillare una nuova bomba sotto il tribolato distacco di Londra da Bruxelles. Accogliendo le istanze sostenute da due cittadini (Gina Miller e Deir Dos Santos), i giudici hanno sentenziato che il governo britannico non può attivare l’articolo 50 del trattato di Lisbona in modo autonomo senza averne discusso con le due Camere e senza aver sottoposto la decisione a un voto. “La regola fondante dell’ordinamento britannico è la sovranità del Parlamento – ha scandito forte e chiaro Lord Cwmgiedd – Il referendum non basta, per divorziare dall’Unione europea è necessaria la volontà dei deputati eletti”. Il pronunciamento dei giudici rischia di destabilizzare il governo allungando i tempi del negoziato e di trasformare il divorzio dall’Europa in un percorso ancora più accidentato. Da parte sua Downing Street fa sapere che andrà avanti con i piani e che farà ricorso alla Corte Suprema, sostenendo che il risultato del referendum è chiaro, che nessuna marcia indietro è ipotizzabile. Ma dietro l’angolo già si intravvede il fantasma del voto anticipato per il rinnovo del Parlamento. Theresa May rassicura che la legislatura si completerà normalmente nel 2020, ma se per caso a dicembre la Suprema Corte dovesse confermare che la Brexit si legittima solo dopo un voto di Westminster, allora, la stessa May potrebbe pensarci seriamente.

Elezioni Usa: Ieri pomeriggio Melania Trump, la moglie del candidato repubblicano, ha parlato in un comizio in Pennsylvania per cercare di scalzare la schiacciante preferenza delle donne per Hillary Clinton, in uno stato che porta ben 20 voti elettorali e dove lo scarto tra i due candidati nelle ultime settimane si è assottigliato (Hillary supera Donald solo di 4 punti percentuali). Nel suo discorso l’ex modella ha toccato tutte le corde più profonde nel cuore dei repubblicani: ha ricordato la sua infanzia in Slovenia, il suo sogno dell’America, la sua faticosa carriera di modella e infine il suo approdo negli Stati Uniti dove è diventata cittadina “con tanto orgoglio”. Il pubblico l’ha applaudita, soprattutto quando ha tessuto le lodi del marito, presentandolo come un salvatore della Patria, che rispetta i lavoratori, le donne e i bambini: “Farà di nuovo grande l’America”. Pare comunque difficile che il discorso possa di colpo cancellare il divario di popolarità che Trump soffre presso il pubblico femminile. Tuttavia la gara, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi dell’inchiesta sulle mail della candidata democratica, si è fatta serratissima, con alcuni Stati (Carolina del Nord, Ohio, Florida) ancora in bilico.

Economia e Finanza

Bce: La doppia visita di Mario Draghi a Berlino nel giro di un mese non ha contribuito a colmare il solco che divide le posizioni del numero uno dell’Eurotower da quelle tedesche. Anzi, a dieci giorni dall’ultimo intervento di Draghi sulle rive della Sprea, in Germania tornano a farsi strada nuovi altolà e nuovi malumori. Gli ultimi a esprimerli sono il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, e il ministro federale delle Finanze, Wolfgang Schäuble. Il capo della banca centrale tedesca ha messo in guardia da un ulteriore allentamento della politica monetaria della Bce, sconsigliando di fatto un rilancio del Qe: “È essenziale che le preoccupazioni per la stabilità finanziaria o per la sostenibilità delle finanze pubbliche non portino a posporre l’uscita dalla politica monetaria ultraespansiva, questa decisione dovrebbe basarsi esclusivamente sugli sviluppi attesi dell’inflazione”. Parole che contrastano con le politiche della Bce, pronta a portare avanti il programma di acquisto titoli fino alla prevista scadenza di marzo 2017 “o anche oltre se necessario”. Per Schäuble, invece, la Banca centrale europea “ha quasi esaurito il suo spazio di manovra monetario”. Secondo il ministro le mosse dell’Eurotower riducono la pressione sugli Stati membri dell’Eurozona a fare le riforme per superare i problemi strutturali e rischiano di provocare bolle immobiliari in Paesi come la Germania.  Argomentazioni che ricalcano quelle avanzate dal capo economista di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau: “Gli interventi della Bce hanno paradossalmente soffocato quella dinamica riformatrice che avrebbero dovuto invece rendere possibile”, hanno espropriato i cittadini e aumentato il rischio di bolle.

Industria italiana: Ieri è stato presentato il settimo volume Scenari industriali del Centro studi Confindustria, dal titolo “I nuovi volti della globalizzazione, alla radice delle diverse performance delle imprese”. Lo studio presenta uno scenario globale sempre più complesso, con un rallentamento dell’ascesa dei Paesi emergenti, il consolidamento del primato cinese, la ripresa dell’attività industriale nelle nazioni avanzate (soprattutto Germania e Usa). Per quanto riguarda il commercio internazionale, cresce ad un ritmo più basso rispetto al passato, inferiore al Pil globale. In questo contesto l’Italia “ancora arranca”, ma “riesce a difendere” la seconda posizione in Europa e si colloca al settimo posto nel mondo, con un valore aggiunto del 2,3%, una quota dimezzata rispetto al periodo pre-crisi (era 4 nel 2007), un terzo rispetto al 6,1 della Germania. Siamo noni, invece, nell’export di manufatti, ottavi se si mette in conto il recente deprezzamento della sterlina. L’Italia resta un Paese a alta vocazione manifatturiera, ha spiegato il direttore del Csc, Luca Paolazzi, il brand Italia mantiene la sua grande capacità di attrazione e nonostante la globalizzazione e le nuove tecnologie abbiano innalzato l’asticella della competitività, “può giocare bene le sue carte, in particolare nelle produzioni specializzate”. Tra l’altro la manovra, ha detto Paolazzi, se funzioneranno le misure messe in campo per sostenere gli investimenti, “ha un potenziale espansivo che potrebbe andare oltre quello che dice il Governo”. Il sistema italiano, tuttavia, deve fare i conti con la scarsa disponibilità di credito e la bassa profittabilità, penalizzata da un costo del lavoro (+24,6 tra il 2007 e il 2015) che sale a ritmi quasi tripli rispetto alla produttività (+9,5%).