C’è sempre molta gioia di andare a teatro quando c’è uno spettacolo di Emma Dante. L’artista, regista, drammaturga è ritornata al Teatro Bellini di Napoli con il suo spettacolo “Operetta burlesca”, in scena fino a domenica 3 aprile. Il mio è un partito preso, forse, ma agiscono fattori essenziali: la curiosità al testo drammaturgico, la messa in scena, la scenografia, le luci, i costumi, e non ultimo la bravura degli attori e delle attrici, e in questo caso si tratta di Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola.
E poi diciamola tutta: Emma Dante macina, mescola, sperimenta linguaggi, generi e temi in modo niente affatto scontato, per rappresentare il Sud, le diversità, la marginalità, i dialetti, la danza, la musica. I suoi spettacoli affermano una precisa identità di stile, di storie, di regia, sempre puntuale e sorprendente. Emma Dante esplora e innova nella drammaturgia e nella messa in scena teatrale, utilizza e riutilizza materiali e simboli in modo unico e surreale. Inizia con un ballo l’Operetta burlesca, sullo sfondo manichini appesi a fili che indossano bellissimi abiti da sera femminili dai colori sgargianti. Tanti quante le trasformazioni di Pietro prima di arrivare a riconoscere la sua vera identità. Luci di varietà e tanti ventagli e lustrini, musica e danze sensuali, mentre ai piedi del palcoscenico, una lunga carrellata di scarpe da donna tutte allineate, altissime e coloratissime.
Una storia raccontata in prima persona dal protagonista, il toccante e bravissimo Carmine Maringola che si scontra con l’efficace e convincente interpretazione di Francesco Guida, parla in dialetto siciliano, che è padre e madre insieme, senza mai cambiare d’abito ma solo tonalità di voce e forme espressive. Alle pendici del Vesuvio vive Pietro, un uomo di circa quarant’anni, che abita ancora con i suoi genitori, trasferitisi da Palermo nell’entroterra partenopeo, lavora con il padre alla pompa di benzina, dopo aver esplorato il suo desiderio di fare la professione di estetista boicottata alla grande dal padre sull’altare dell’ipocrita decenza: cosa mai direbbe il paese? Iniziano le sue scappate settimanali a Napoli: vive il sogno della grande città, delle luci alla ribalta, dove può passeggiare liberamente, un sogno che gli consente di essere se stesso, in un anonimato che placa il suo disagio E lo rassicura. Nell’alternanza dei momenti in cui balla da solo, chiuso nella sua stanza, indossando gli abiti da donna e i tacchi alti acquistati a via Duomo. Un ragazzo delicato, viziato da una madre protettiva preoccupata di nutrirlo a sufficienza con le sue frittate di maccheroni. Pietro consuma il disagio di sentirsi costretto a vivere in un corpo sbagliato. Ripe continuamente: “Mi sentivo femmina”. Vieni fuori così in modo netto il contrasto tra una provincia chiusa, arretrata ed il protagonista dell’opera, che si sente femmina che sogna la felicità di poter indossare quei vestiti sgargianti e quelle scarpe rosse dal tacco altissimo, ma che può farlo solo nel chiuso della sua camera. Tuttavia l’esplosione che ha dentro si combina con la violenza della figura paterna in contrasto con la remissività e l’opportunismo della madre. E nel cambio repentino dei ruoli Francesco Guida è veramente molto bravo. E qui il contrasto è anche sulla lingua fra la cadenza napoletana di Carmine Maringola e quella siciliana di Francesco Guida. Finalmente Pietro incontra l’amore della sua vita che gli può permettere l’uscita da quella casa e dal suo ingombrante fisico di uomo per appropriarsi di quello femminile in una storia tanto voluta. Un bisogno disperato d’amore che, a un’età ormai non più giovanissima, ha creduto di averlo trovato in un negoziante di calzature, che corrisponde con fasci di rose rosse che arrivano alla pompa di benzina. E qui diventa tanto struggente quanto esilarante questa parte scenica che si consuma con quella lenta vestizione del protagonista con uno degli abiti sfarzosi indossati dai manichini, ancora bambole gonfiabili, come ne “Le pulle”, mentre va in scena un lento spogliarello femminile. Per due anni dura la storia, finché una sera Pietro conosce l’amara verità e l’epilogo della sua storia non è affatto bello.
“Ho scritto questa storia perché spero che sulle unioni omosessuali l’Italia colmi il ritardo con l’Europa. Perché detesto la repressione del vero desiderio – scrive Emma Dante – e del talento. E non ammetto tutto questo disincanto, Pietro non ci prova neanche a scappare, del resto a 40 anni è difficile, il suo passato sfuoca, il suo futuro si accorcia. La sua delusione pian piano si trasforma in indifferenza. Ho conosciuto tanti Pietro. Non li ho mai visti ballare. Li ho sentiti monchi, stretti dalla morsa delle loro camerette condominiali. Vorrei vederli ballare, vorrei più spazio per loro. Operetta burlesca è uno spogliarello dell’anima”.
Emma Dante affronta temi come l’omosessualità, lo stupro, l’incesto, la prostituzione, a viso aperto, senza ideologismi, ma sembra portare avanti nei suoi spettacoli un concetto chiaro:.” i panni sporchi non si lavano più in famiglia”. Brava Emma perché ci fai riflettere, e bravi tutti gli attori. Le belle coreografie sono di Davide Celona, le luci di Cristian Zucaro, con la Produzione Sud Costa Occidentale.