Fa notizia la lezione di rigore che arriva dalla Sicilia. La Corte dei Conti, infatti, ha respinto il ricorso di un ex consigliere regionale privato un anno fa del vitalizio. Si tratta  di Vincenzo Lo Giudice, detto «Mangialasagne». Già sindaco di Canicattì, era stato per 13 anni deputalo regionale prima di essere arrestato nel 2004 nell’ambito di
un’inchiesta per mafia. La condanna a 11 anni e .1 mesi, seguita da una seconda a 2 anni e 8 mesi per  concussione, non gli ha però impedito di incassare per ben nove anni, dal primo luglio 2006, il vitalizio regionale. Finché, a marzo del 2015, la scure abbattutasi sull’assegno dell’ex governatore Totò Cuffaro colpisce pure
lui. Immediato ricorso, che però il 25 febbraio 2016 la Corte dei conti respinge senza esitazioni. La sentenza spiega con chiarezza che il vitalizio va revocato in base all’articolo 28 del codice penale, con il quale si stabilisce che il condannato a una pena con interdizione perpetua dei pubblici uffici, sanzione prevista per condanne superiori a cinque anni, non può incassare assegni dallo Stato.

La notizia, però. scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, è che questa legge vale solo in Sicilia. Le regole introdotte lo scorso anno per Camera e Senato non fanno riferimento alcuno a quell’articolo 28 del codice penale. Articolo nel quale, per esempio, non è prevista la restituzione dell’assegno statale con tanto di arretrati in caso di riabilitazione. Un beneficio invece contemplato eccome dal regolamento sull’abolizione dei vitalizi parlamentari. Giusto un mese fa un ex deputato già condannalo a 8 anni per bancarotta fraudolenta, Gianmario Pellizzari, si è visto restituire l’assegno da 5.481 euro netti mensili (più sei mesi di  arretrati, ovvio) dopo essere stato
riabilitato dal tribunale di sorveglianza.