di SIMONA D’ALBORA
Napoli ha un rapporto unico con la morte, sarà perche Virgilio collocò l’ingresso degli inferi proprio nei Campi Flegrei, vicino alla città, sarà per quella massima che vuole che chi vede Napoli poi muore, o per Totò che ne ‘a livella, una delle poesie più famose, immagina la vita dopo la morte di un ricco blasonato e di un povero netturbino, ma non si può non riconoscere il legame indissolubile tra la vita e la morte nel bagaglio culturale napoletano.
I morti all’ombra del Vesuvio non muoiono mai definitivamente, esiste sempre un modo in cui chi è ancora in vita si ricongiunge a chi non c’è più , una sorta di fatalismo che porta il napoletano a credere di fronte ad ogni disgrazia che non fa niente, perché oggi possiamo esserci e domani no. E solo comprendendo la concezione che il napoletano ha della morte che si può capire un luogo unico come il Cimitero delle Fontanelle. In origine era una cava di tufo utilizzata per estrarre proprio il tufo che serviva alla città, ma nel 1656 in seguito alla peste che colpì Napoli venne usata per coloro che morivano colpiti dalla terribile epidemia fino al colera del 1836. I corpi venivano ammassati in questa enorme cavità che si trovava al di fuori delle mura, nel rione Sanità. Solo verso il 1872, in seguito a un’alluvione che disperse le ossa per tutto il quartiere, il canonico Gaetano Barbati, al quale il comune aveva affidato la cava, decise di dare una sistemata a tutte quelle ossa e organizzò un cimitero e anche un chiesa provvisoria nella prima cava che fu poi aperta al pubblico. Cosa rende unico il cimitero delle Fontanelle non è la presenza delle ossa, ma il sentimento con cui i napoletani vivono un luogo come questo: nel tempo infatti le ossa anonime accatastate all’interno della cava di tufo sono diventate uno spontaneo oggetto di devozione da parte del popolo che le considerava anime pezzentelle bisognose di cure ed attenzioni, e una sorta di ponte tra i vivi e i morti. Il culto delle anime purganti si diffuse, così, spontaneamente tra gli abitanti napoletani, soprattutto donne, che adottavano un teschio che gli era stato indicato in sogno e si prendevano cura di lui, non solo con preghiere per alleviare l’anima del purgatorio ma anche con veri e propri riti di lucidatiura e sistemazione. Ma lo scambio vita morte era reciproco: le donne chiedevano grazie come una vincita a lotto o una gravidanza tanto desiderata, dedicandosi per premio completamente al teschio scelto.
Negli anni ’60 la Chiesa, preoccupata per il feticismo insito nel rito delle anime pezzentelle proibì il culto individuale delle capuzzelle, oggetto di fede pagana e il cimitero finì quasi nel dimenticatoio, fino a che nel 2002 rientrò nel circuito del Maggio dei Monumenti rimanendo aperto solo in quell’occasione, dal 2009 è stato riaperto al pubblico definitivamente.
Ma per capire davvero cosa rappresenti per i napoletani bisogna solo addentrarsi nelle tre navate della cava e conoscere le storie dei teschi più conosciuti del cimitero. In realtà, la particolarità è che di oltre 40.000 ossa sistemate nella cava ma anche sotto terra nessuna, a parte due corpi di cui si conosce la storia, ha un nome certo una sua identità, e invece alcuni di questi resti hanno avuto ed hanno una loro storia dopo la vita riconosciuta e raccontata da chi li ha adottati. Spiccano così le tre figure che più di altre ispirano, nel bene e nel male la credenza popolare: don Pasquale, il teschio con i denti, noto per aiutare con una vincita a lotto i napoletani che lo hanno adottato, Donna Concetta, famosa come ‘a capa che suda. Mentre gli altri teschi, infatti sono opachi, Donna Concetta è sempre lucida, la spiegazione scientifica è che probabilmente la sua conformazione raccoglie l’umidità del luogo in una sorta di condensa che la rende sempre lucida, ma per i credenti è sudore, nella credenza popolare, infatti, alcuni teschi sudano non solo per la fatica di compiere il miracolo ma anche per lo sforzo che fanno le anime nel purgatorio. Ed infine il capitano, una delle due versioni sulla leggenda di questo teschio e stata raccolta da Roberto de Simone, e probabilmente è nata per terrorizzare coloro che la notte si davano appuntamento nel cimitero per traffici illeciti o per amoreggiare in un luogo appartato.
Ma, nonostante le terribili leggende sul capitano, il Cimitero delle Fontanelle non è un luogo di terrore, al contrario al suo interno ci si riconcilia con il mondo dei morti.